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Piccola analisi dei conflitti sul lavoro degli ultimi anni: lo sciopero non permette sempre di vincere

«Lo sciopero non è più tabù»

Il successo del SEV nel conflitto ai trasporti pubblici di Ginevra ha rilanciato lo sciopero quale strumento d’azione del SEV. Uno strumento il cui uso si sta generalizzando? Come può portare al successo? contatto.sev ha analizzato diversi esempi per tentare di rispondere a queste domande, coinvolgendo anche lo storico Dominique Dirlewanger.

Nato nel 1972, Dominique Dirlewanger è insegnante e storico. Ha pubblicato «Les Suisses: Lignes de vie d’un peuple» (linee di vita del popolo svizzero) nel 2014 e «Tell me: la Suisse racontée autrement» (la Svizzera raccontata in altro modo). Milita negli insegnanti VPOD e ha partecipato a numerosi scioperi negli ultimi 15 anni.

Secondo lo storico Dominique Dirlewanger, il 19 novembre è destinato a rimanere una data fondamentale nella storia sindacale svizzera, per lo sciopero del personale dei TPG. Abbiamo discusso con lui del ricorso a questo mezzo di lotta negli ultimi quindici anni.

Dominique Dirlewanger, negli ultimi anni abbiamo assistito a numerosi scioperi (Boillat, Merck Serono, Officine, Spar, Gate Gourmet, Providence, TPG). Lo sciopero non è più tabù?
A livello simbolico, nei dipendenti sono scomparse le reticenze e le diffidenze nei confronti dello sciopero, ormai considerato uno strumento legittimo. È quanto ho constatato durante lo sciopero della funzione pubblica del canton Vaud. Lo sciopero non è più un tabù, mentre solo negli anni 70 o 80 era impensabile farvi ricorso. Sui posti di lavoro vi è inoltre maggior conflittualità e anche questo aspetto favorisce il ricorso allo sciopero. A livello mediatico, invece, questa evoluzione non ha avuto luogo e assistiamo a critiche anche violente, in cui si utilizzano definizioni del tutto fuori luogo come «prese d’ostaggi» o «bombe atomiche». Non ho verificato nelle statistiche, ma ho la percezione che gli scioperi siano più frequenti, anche se si tratta soprattutto di scioperi difensivi.

Cosa intende dire?
L’ultimo sciopero «offensivo», ossia volto a ottenere qualcosa di nuovo e non solo a difendere i diritti acquisiti, è stato quello nell’edilizia per il pensionamento a 60 anni. Nel settore pubblico, assistiamo invece ad un aumento degli scioperi «difensivi», indetti per reagire agli attacchi derivanti dalle misure di austerità.
Questo irrigidimento del clima deriva anche dalla cancellazione dello statuto del funzionario, sostituito nei primi anni 2000 dalla legge sul personale federale e dal ridimensionamento dei diritti del personale in numerosi cantoni, come la cancellazione degli automatismi salariali e la diminuzione, o persino la soppressione, della protezione dal licenziamento.

Però dal personale dei servizi pubblici ci si aspetta sempre ancora che rinuncino a misure di lotta, come se il loro statuto non fosse mai stato modificato...
Scioperare nel settore privato comporta rischi personali molto maggiori che nel settore pubblico, dove vige ancora una certa protezione dai licenziamenti, che sono invece stati emessi, per esempio, presso Gate Gourmet e La Providence.
Anche se, dal 2000, il diritto di sciopero è ripreso dalla costituzione, esso non è ancora formalmente garantito. È un po’ come la situazione dell’AVS, il cui livello delle rendite non assicura il minimo vitale, contrariamente a quanto previsto dalla costituzione federale.
Paradossalmente, vi è un tentativo di far credere che il potere sia in mano agli scioperanti, mentre in realtà da un secolo a questa parte assistiamo ad una loro criminalizzazione e al tentativo di trascinarli, unitamente ai sindacalisti, davanti ai tribunali.

Dobbiamo quindi attenderci un ridimensionamento del diritto di sciopero?
Non è detto. Non dobbiamo nemmeno trascurare gli effetti della vittoria ottenuta con l’iscrizione del diritto di sciopero nella costituzione. Dopo la seconda guerra mondiale, l’estrema sinistra criticava fortemente quello che considerava un indebolimento dei diritti degli operai, rappresentato dalla rinuncia al diritto di sciopero ripresa dai CCL. Per la destra, invece, lo sciopero è un fenomeno d’importazione (dai bolscevichi nel 1918, ma anche dai frontalieri nel caso dei TPG della settimana scorsa). È un tentativo di negare la realtà, costituita da persone che senz’altro non ricorrono a cuor leggero ad uno strumento come lo sciopero.

Austerità di bilancio a parte, non stiamo assistendo anche ad un irrigidimento dei metodi manageriali?
Le direzioni delle risorse umane tengono ormai conto dello sciopero nelle loro strategie. I loro calendari di trattativa contemplano la sospensione del lavoro, in modo da fare concessioni solo poco prima che essa avvenga. In questo modo, vogliono dare l’impressione di essersi piegate solo davanti allo sciopero, mentre in realtà le loro concessioni erano già pianificate ed incluse nelle trattative. I manager odierni tentano così di contrabbandare il purgatorio per il paradiso. Ma questi metodi manageriali da soli non spiegano ancora il ricorso allo sciopero, che per essere dichiarato necessita di diverse condizioni abbastanza complesse. Lo sciopero si verifica in presenza di delegati sindacali attivi, che hanno intessuto rapporti di solidarietà e di fiducia tra maestranze e sindacato.

Quali altre caratteristiche è possibile constatare presso gli scioperi di successo?
Il numero di adesioni registrate dal sindacato dopo il movimento è un ottimo indice della presenza dei delegati sindacali sul terreno. Manca per contro ancora il rafforzamento del diritto costituzionale, tramite la protezione dal licenziamento dei delegati sindacali e degli scioperanti, se pensiamo che persino nel caso in cui il licenziamento viene giudicato abusivo, a chi ne è stato colpito viene riconosciuta al massimo un’indennità pari a sei mesi di stipendio. 

Lo sciopero viene spesso considerato come l’unico mezzo per ottenere soddisfazione. Cosa che però non avviene sempre...
No, basti ricordare esempi come quelli della Providence e di Gate Gourmet, oppure della Boillat (2006) o di Merck Serono (2012) che, anche se definiti legittimi dai media, sono stati lanciati troppo tardi.
Lo sciopero dei TPG è molto importante in quanto è una rarità, essendo stato lanciato per ottenere trattative. Particolare è pure il fatto che è stato il solo SEV a promuoverlo, mentre le altre due organizzazioni sindacali presenti si sono accodate solo in un secondo tempo.
Si è così giunti ad una partecipazione praticamente unanime, anche se non sono mancati rimproveri di «mobbing psicologico». Non va tuttavia dimenticato che, anche se vi è la volontà di partecipare, in questi casi vi sono sempre esitazioni e remore da vincere.
Secondo le teorie di scelta razionale (rational choice theory) della sociologia del lavoro, uno sciopero è sempre difficile da spiegare. Esse pretendono che ognuno cerchi di massimizzare il proprio profitto. Da un punto di vista razionale, quindi, sarebbe meglio non partecipare ad uno sciopero. Se questo va male, non vi saranno perdite salariali, mentre in caso di successo se ne coglieranno comunque i benefici.
La realtà è invece un’altra e vede un numero crescente di persone disposte a battersi per i propri diritti!

Vivian Bologna

Il SEV e lo sciopero: quando ci vuole, ci vuole

Negli ultimi 12 anni, dopo decenni di pace del lavoro pressoché assoluta, il SEV ha vissuto quattro scioperi: nel 2002 a Ginevra, nel 2005 alla navigazione di Lugano, nel 2008 quello che per diversi motivi passerà alla storia delle Officine FFS di Bellinzona e ora di nuovo a Ginevra.
Almeno gli ultimi tre, esaminati da vicino, rivelano immediatamente due cause comuni. Un certo rigore finanziario da parte dell’ente pubblico, che porta ad una contrazione degli aiuti alle aziende di trasporto pubblico e una reazione affrettata e superficiale delle direzioni di queste ultime, volta a ribaltare queste contrazioni sulle prestazioni e, di conseguenza, sui posti di lavoro. Gli ultimi anni hanno visto l’avvento di nuove forme di gestione del servizio pubblico, imperniate su mandati di prestazione che, più che negoziati, vengono impartiti dalle autorità politiche alle aziende, alle quali viene spesso richiesto sempre di più in cambio di contropartite che, nella migliore delle ipotesi, restano allo stesso livello. In sé, il compito di opporsi a queste condizioni spetterebbe proprio alle aziende, che si ritrovano però spesso in condizioni di dipendenza, dalle quali è difficile uscire, per cui si accontentano, come detto in precedenza, di ribaltare la pressione sui loro dipendenti.
In queste condizioni, è evidente che per il personale e i suoi rappresentanti diventa impossibile condurre una trattativa seria, dal momento che l’interlocutore diretto non dispone delle competenze necessarie. E non bisogna quindi meravigliarsi se il ricorso alle misure di lotta, un tempo quasi inconcepibile, diventa sempre più frequente, poiché bisogna scardinare questo meccanismo e rimettere la pressione su chi l’ha generata, ossia l’autorità politica.

L`appoggio popolare per lo sciopero alle Officine di Bellinzona nel 2008 era semplicemente straordinario. (Foto: Florian Aicher)

Analizzando i tre momenti, si constatano anche altri aspetti in comune, tra i quali spiccano la comprensione e il sostegno che questi movimenti, in fondo piuttosto inusuali alle nostre latitudini, hanno riscontrato presso l’opinione pubblica e la stessa utenza. Se a Bellinzona questo sostegno è stato favorito anche (ma non solo) dal fatto che il «nemico» era oltre Gottardo e che quindi era relativamente semplice coalizzare tutta la regione contro di esso, è indubbio che questi consensi dimostrino una crescente insofferenza nei confronti di una certa tendenza politica e sociale a mettere il risultato finanziario al centro di tutte le considerazioni.
L’unica conclusione possibile è che la popolazione, nonostante gli inconvenienti che deve patire durante questi conflitti, reagisca positivamente in quanto conscia che servizi pubblici validi come quelli forniti nel nostro paese abbiano un loro costo. Una realtà che alcuni politici tendono a dimenticare.
Ricordarglielo, come il SEV deve spesso fare, se del caso anche con lo sciopero, è fondamentale.

Pietro Gianolli

2006, forte mobilitazione alla Boillat, nel Giura bernese. (Foto: dr)

Forte sostegno popolare ai scioperi nell'industria

La Boillat, Merck Serono, Novartis: Unia si ritrova spesso confrontata con chiusure di siti di multinazionali. Pierluigi Fedele, membro della direzione di Unia, commenta gli scioperi degli ultimi anni.

Unia deve spesso lottare per salvare posti di lavoro, ma deve accontentarsi di ottenere piani sociali e indennità di uscita. È infatti molto difficile influire su decisioni prese da grandi multinazionali con sede all’estero, che risultano di conseguenza spesso irreversibili. «Dovremmo riuscire a mobilitare il personale a livello europeo e convincerlo a lottare unito, ma non é certo facile e, finora, non ci siamo riusciti » ci dice Pierluigi Fedele.

«La Boillat »

A Reconvilier, la lotta del 2006 contro la chiusura dell’officina Swissmetal Boillat si è conclusa con una sconfitta. «Dopo 9 giorni di sciopero, avevamo ottenuto alcuni risultati. Vi è poi stato il secondo sciopero, durato ben 30 giorni. Troppi, che hanno finito per soffocare il movimento» spiega Fedele, che aggiunge «il personale era diviso in terzi: il primo estremamente motivato, il secondo disposto a lasciare la lotta e il terzo assolutamente contrario alla stessa». Come sempre in questi casi, lo sciopero era comunque stato votato a larga maggioranza dai salariati. In genere, Unia punta ai 3/4, per evitare scollamenti rapidi del movimento.
Bisogna anche considerare che non si scende in sciopero per ogni divergenza: «deve esserci una crescita progressiva delle misure. Abbiamo iniziato tentando una trattativa, poi indetto volantinaggi, manifestazioni e, alla fine, sospeso il lavoro. Scioperare non è certo un piacere e lavoratrici e lavoratori vi fanno ricorso solo in ultima battuta, quando non vi sono più altre possibilità ».

Evoluzione

«Lo sciopero a Serono, nel 2012, è stato esemplare per diversi aspetti», ricorda il sindacalista. «Vi hanno partecipato persone molto ben qualificate e sono stati utilizzati strumenti di mobilitazione piuttosto innovativi, come flash mobs, animazioni particolari, social media eccetera». Anche quello presso Novartis a Nyon, a fine 2011 è stato esemplare, dato che ha riunito nella lotta il personale dei laboratori e degli uffici. Infine, salariati e Stato vodese hanno fatto sforzi congiunti per salvare il sito, che solo due anni dopo Novartis ha finito per cedere a una nuova entità di cui non detiene il controllo. Bisogna quindi, come sempre succede nel mondo sindacale, mantenere alta la guardia...
«Quest’anno, presso Pavatex, la situazione era un po’ diversa, con una direzione meno intransigente, dalla quale gli scioperanti hanno pertanto potuto ottenere alcuni buoni risultati.
«Cittadine e cittadini del nostro paese cominciano a rendersi conto che lo sciopero può costituire un buon mezzo di lotta per ottenere risultati concreti» conclude Fedele.
Vi sono differenze tra SEV, VPOD e Unia? Quest’ultima ha soprattutto a che fare con attori privati, mossi da interessi altrettanto privati. Ma ha anche il vantaggio che gli impiegati delle Officine private godono più facilmente del sostegno della popolazione. 

Henriette Schaffter

Al primo sciopero di avvertimento presso la clinica La Providence del 18 settembre 2012 hanno aderito oltre 100 dei circa 350 dipendenti. (Foto: VPOD)

Disdette del CCL contestate

Presso la clinica La Providence e Gate Gourmet, per timore di licenziamenti, ha scioperato solo una minoranza del personale e i governi cantonali hanno aiutato la controparte.

In aprile 2012 il gruppo di cliniche private Genolier Swiss Medical Network ha comunicato di interessarsi alla clinica La Providence di Neuchâtel, privata ma che beneficiava di sussidi pubblici. Un interesse contraccambiato, in quanto la clinica temeva la diminuzione degli incarichi da parte dell’ente pubblico, tanto che la direzione ha subito dato seguito alla condizione posta dal gruppo Genolier di disdire il contratto collettivo di lavoro «Santé 21» valido per gli ospedali sussidiati, nonostante continuasse a ricevere indennizzi da parte del cantone. Genolier intendeva aumentare la durata settimanale del lavoro, ridurre i salari e le indennità di picchetto per il lavoro notturno e domenicale ed esternalizzare i servizi di pulizia e di ristorazione.
VPOD e Syna hanno indetto un primo sciopero di avvertimento il 18 settembre 2012, al quale hanno aderito oltre 100 dei circa 350 dipendenti. Il 21 novembre, la direzione ha comunicato di aver svolto un sondaggio al quale aveva partecipato l’84 % del personale e che il 76 % si era espresso in favore della ripresa da parte del gruppo Genolier. Il 26 novembre, circa 30 dipendenti sono scesi in sciopero di durata indeterminata. Nonostante il 5 dicembre, il Gran Consiglio avesse approvato una mozione che chiedeva il rispetto del CCL e numerose manifestazioni che avevano raccolto centinaia di partecipanti, il governo cantonale ha accettato la disdetta del CCL, alla quale ha fatto seguito, il 2 febbraio 2013, il licenziamento dei 22 dipendenti ancora in sciopero, contro il quale la VPOD ha presentato ricorso all’organizzazione internazionale del lavoro. Il 15 febbraio, Genolier ha poi confermato l’acquisto della clinica e il peggioramento delle condizioni di lavoro dal 1o marzo.

CCL disdetto anche a Ginevra

Nel giugno 2013 Gate Gourmet Switzerland SA, che all’aeroporto di Ginevra forniva la ristorazione a circa il 70 % degli aerei, ha disdetto il CCL sottoscritto nel 1997 con la VPOD. Da notare che dall’inizio dell’ anno le ditte di catering potevano applicare il CCL della gastronomia, che prevedeva condizioni peggiori. A metà settembre, Gate Gourmet ha poi infranto la pace sul lavoro ricorrendo ad un licenziamento di massa di 86 dipendenti sui 122 assoggettati al CCL, ai quali è stato sottoposto un contratto individuale che prevedeva riduzioni salariali da
11 a 637 franchi mensili su stipendi tra 3553 e 6107 franchi, oltre a riduzioni di indennità e di cassa pensioni. Un’assemblea del personale ha quindi deciso uno sciopero, scattato il 14 settembre. Gate Gourmet ha tuttavia potuto continuare a fornire i pasti impiegando personale temporaneo, i quadri aziendali e chi ha deciso di non partecipare allo sciopero. A fine ottobre, gli scioperanti rimasti erano 10. Sei di loro sono poi stati licenziati a seguito di un’azione di protesta.
Si è dovuti arrivare sino al 31 maggio 2014 per giungere ad un accordo, mediato dal governo ginevrino, tra Gate Gourmet e la centrale della VPOD sulle condizioni per licenziare sette scioperanti che la VPOD aveva minacciato di soppressione delle indennità di sciopero, sul mantenimento sino a fine 2015 delle condizioni di lavoro stabilite a inizio 2014 e sulla ripresa di trattative per un nuovo CCL. Per protesta, il segretario regionale ha lasciato la VPOD.

Fi