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Diritto all’allattamento: lotta pioniera ai TPG

Dalla parte di mamma e bambino

Ogni giorno lo stesso rituale. Esperanza Munoz deve tirare il latte per nutrire suo figlio. Conducente dei TPG, ha partorito nel mese di agosto del 2017; siccome vuole allattare s’informa sui suoi diritti. Inizia così una lotta da pioniera.

Dal 2014, le giovani madri hanno diritto alle pause remunerate per allattare sul posto di lavoro. Ma secondo molti specialisti in campo medico, la legge che lo consente è rimasta lettera morta dalla sua entrata in vigore. Cercando bene, Esperanza mette mano su diverse disposizioni legali che tutelano le mamme che desiderano allattare: l’articolo 35 della Legge sul lavoro e gli articoli 61 e 62 della relativa Ordinanza. La giovane conducente ha pure un certificato medico di allattamento, in cui si sconsiglia di riprendere il lavoro come autista. Con il suo certificato, sostenuta da un avvocato e dal SEV, Esperanza fa valere i suoi diritti rivendicando il tempo per allattare, la rinuncia temporanea alla guida che comprometterebbe l’allattamento. Il servizio giuridico dei TPG le ha risposto che quelle disposizioni non sono applicabili ad un’azienda di trasporto pubblico, poiché il personale è sottoposto alla Legge sulla durata del lavoro (LdL). È vero, mai i TPG sembrano non volere considerare che la protezione speciale riservata alla maternità è contemplata all’articolo 17 della LdL, che fa esplicito riferimento alla Legge sul lavoro. Quindi tra i due ordinamenti, non ci sono muri invalicabili, ma semplici passerelle.

Malgrado il certificato medico che conferma la volontà di Esperanza di allattare il proprio pargoletto e che sconsiglia qualsiasi fattore di stress, i TPG le ordinano di riprendere la guida dal 15 gennaio 2018. Si presenta al lavoro per non essere accusata di aver abbandonato il proprio posto. Ma arriva in civile, forte del suo certificato medico che non la considera momentaneamente idonea alla guida. Grazie all’azione del SEV e incurante delle pressioni dei TPG, Esperanza vince la causa a titolo eccezionale. Poiché l’azienda si rifiuta di prendere una posizione definitiva e riconoscere gli obblighi codificati dalla e nella legge. Per ora Esperanza dispone di un ufficio, dove può allattare suo figlio per 90 minuti al giorno, ma per lei non basta: «Voglio che il diritto venga applicato e che non sia solo un favore o un’eccezione. Oppure le TPG dicano nero su bianco che non intendono rispettare la legge». Questa lotta è importante per tutte coloro che l’hanno preceduta e che la seguiranno. O ancora per lei, se deciderà di diventare mamma per la seconda volta. Insomma una lotta esemplare per tutte le aziende di questo Paese.

Nel mese di marzo i TPG l’hanno convocata perché ha reso pubblica la sua storia alla TV ginevrina «Léman Bleu». Accompagnata da un presidio di onore da parte dei/delle colleghi/e, alla fine non è stata ascoltata. Esperanza ne ha fatto veramente meno di questo stress supplementare, ma è determinata a fare valere i propri diritti. Ma perché mai i TPG rifiutano di riconoscere tale diritto a Esperanza? A «Léman Bleu» i TPG si sono trincerati dietro a un «no comment». L’azienda si limita a dire di agire in «base all’ordinanza federale caso per caso».

Yves Sancey/frg

Commenti

  • Betroffene

    Betroffene 06/04/2018 14:19:11

    Ich arbeite als Fahrdienstleiterin bei der SBB und bekam keine Stillpausen, als ich danach fragte und mir blieb also nichts anderes übrig, als während meiner 30 minütigen Essenspause abzupumpen. Ich musste jeweils direkt vor und nach der Schicht noch abpumpen, um nicht zu platzen!