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La componente di servizio pubblico deve confrontarsi alla «Corporate Governance»

Lo Stato deve solo pagare, o deve anche gestire?

I paladini della liberalizzazione e i sostenitori delle privatizzazioni sembrano aver individuato nuovi mezzi per combattere il tanto deprecato Stato: obbligare l’ente pubblico a cedere le sue partecipazioni nelle aziende di servizio pubblico, vendendo le proprie azioni di compagnie ferroviarie, di bus, di fornitura di beni e servizi o di smaltimento di rifiuti, già in gran parte in mano privata. È quanto sta capitando ancora una volta nel Canton San Gallo.

Ombre lunghe sul percorso dell’Appenzeller Bahnen, qui alla stazione di San Gallo. Il cantone detiene l’11 percento delle azioni.

Secondo noi, lo «Stato» con tutte le accezioni differenti che possiamo avere di esso, deve avere quale compito principale la gestione della vita pubblica, curando aspetti fondamentali come la formazione, la fornitura di generi di prima necessità come energia, acqua e alimentari; di prestazioni come trasporti, comunicazione, cure mediche e smaltimento rifiuti. Lo stato, che in Svizzera comprende anche cantoni e comuni, ha assunto molti di questi compiti in prima persona, mentre per altri ha preferito ricorrere a aziende più o meno pubbliche, con gradi di partecipazione diversi.

Corporate Governance significa separarsi?

Negli ultimi anni, si sono fatte sempre più insistenti le voci in favore di un progressivo ritiro dello Stato da queste istituzioni miste. Nella sua sessione di febbraio, il Gran consiglio del canton San Gallo esaminerà un rapporto sulla «Public Corporate Governance», in cui il Consiglio di Stato propone di vendere le sue partecipazioni e di ritirare i suoi rappresentanti dai vari consigli di amministrazione. La competenza per la vendita di queste azioni verrebbe data al solo esecutivo, sottraendola completamente al Gran consiglio.

Il rapporto comprende ben 78 pagine. Di particolare interesse per noi è il punto 5.3.2 imprese di trasporto, in cui il governo dichiara che «una partecipazione del cantone alle imprese di trasporto non è più necessaria». Il rapporto precisa che si tratta di imprese indipendenti e gestite secondo criteri di economia privata, per cui per il cantone non vi sarebbe necessità di influire sull’aziende quale fornitrice di prestazioni, in quanto questi rapporti possono essere strutturati in modo efficace tramite la procedura di ordinazione di prestazioni. Di conseguenza, bisogna verificare, oltre alla necessità di mantenere una rappresentanza del cantone negli organi di direzione strategica dell’azienda, anche la possibilità e l’opportunità di liquidare le proprie quote nelle aziende di trasporto.

In sé, il fatto che la partecipazione del cantone nelle aziende non sia fondamentalmente necessaria non è contestato. Ciò non vuole però significare che questa non sia opportuna. Il governo sembra invece che abbia già deciso di ritirare i propri rappresentanti e si riserva di verificare la possibilità di liquidare le proprie azioni. Quello che il governo cantonale non indica è lo scopo di questo ritiro dalle aziende. Nel caso della Südostbahn, della quale il Canton San Gallo è il secondo maggior azionista dopo la Confederazione con il 19.17 percento, il governo cantonale sostiene che vi sia un chiaro conflitto tra il ruolo di azionista, quindi interessato al buon andamento dell’azienda e quello di committente che vuole ottenere prestazioni di trasporto pubblico nel modo più economico possibile. La vendita delle azioni è però pressoché impossibile dal punto di vista legale, né porterebbe ad un apprezzabile risultato economico. Le stesse considerazioni valgono anche per le Appenzeller Bahnen, di cui il cantone detiene l’11 percento delle azioni. Presso la Frauenfeld-Wil-Bahn, invece, la proprietà delle azioni da parte del cantone (pari al 6 percento) non sottosta ad alcun vincolo legale. Queste potrebbero pertanto essere vendute, di preferenza ad un ente di diritto pubblico, come viene precisato nel rapporto. Ancora diversa è la situazione con la Bus Ostschweiz, della quale il cantone, con il suo 41 percento, è il maggior azionista.

Una cessione delle azioni potrebbe essere respinta, in particolare per contenere possibile concorrenti, rispettivamente per salvaguardare l’indipendenza della società sotto il controllo degli azionisti attuali. Ciononostante, e tenendo conto di tutte le circostanze, il cantone punterebbe ad una vendita della proprie quote.

Decisione incomprensibile

Il Canton San Gallo intende quindi ritirarsi dal trasporto pubblico, più per considerazioni di carattere ideologico che di necessità. In questo modo, si ritroverà a dover pagare le stesse cifre, senza però poter intervenire in qualsiasi modo nella gestione delle aziende. Viene proprio da chiedersi dove vada a finire il senso di responsabilità dello Stato.

Peter Anliker

«Governance» in inglese significa semplicemente governare. «Corporate Governance», quindi, significa «governo d’azienda», da non confondere però con l’ormai popolare «Management» che si riferisce soprattutto alla direzione a livello operativo, orientato al successo dell’azienda a breve e medio termine. La «Corporate Governance» dovrebbe invece rifarsi a principi e orientamenti di gestione di più ampio respiro.

Nel mondo economico, quando si pensa alla direzione di un’azienda orientata al guadagno, l’espressione «Corporate Governance» viene usata soprattutto per la direzione di strutture particolari, come una cooperativa.

In politica, Corporate governance indica le linee direttive che dovrebbero ispirare le decisioni e i provvedimenti per gestire un ente pubblico.

Quanto esposto evidenzia come non esista una sola forma di Corporate Governance e quindi di direzione di un’azienda o di un ente pubblico. Nemmeno l’evoluzione di questa espressione, che introduce un apprezzamento qualitativo, ossia la Good Governance dà indicazioni più chiare sulle modalità da adottare per la gestione. Ci si deve infatti chiedere per chi questa governance dovrebbe risultare buona. Una domanda («Cui bono» = a chi giova) che in fondo aveva già posto Cicerone nell’antica Roma. Con «Good Governance» si tende a riferirsi a pratiche miranti, più che ad un profitto immediato, al conseguimento di un valore aggiunto a lungo termine che consideri gli interessi di tutti i diversi «Stakeholder» (le parti in causa), grazie ad una collaborazione ottimale tra la direzione a livello operativo e gli organi di sorveglianza e controllo a livello strategico, evitando nel contempo versamenti incrociati tra le diverse parti in causa che andrebbero evidentemente a scapito della collettività.
In Svizzera vi é in particolare la fondazione Ethos, attiva soprattutto nel campo delle casse pensioni, che richiama al rispetto dei principi di una «Good Go-vernance».

Un altro esempio più volte citato è quello dell’iniziativa contro i salari esagerati, promossa da Thomas Minder, che puntava ad un deciso miglioramento delle Corporate Governance applicate nella direzione delle aziende dell’economia del nostro paese. 

pan.