Non sempre le aggressioni ai danni del personale dei trasporti pubblici sfociano in procedimenti penali
La denuncia non è automatica!
La VPT Sottoceneri ha invitato il procuratore pubblico Paolo Bordoli a svolgere una relazione sulle aggressioni ai danni del personale dei trasporti pubblici e, soprattutto, sulle modalità secondo le quali queste vengono perseguite. La legge prevede che ciò avvenga d’ufficio, ma per farlo occorrono comunque alcune premesse.
contatto.sev: Paolo Bordoli, la VPT Sottoceneri l’ha invitato a spiegare le procedure per perseguire le aggressioni di cui purtroppo il personale dei trasporti pubblici è spesso vittima. Che realtà ha trovato?
Paolo Bordoli: si tratta indubbiamente di un tema molto sensibile e sentito, come lo è presso altri dipendenti pubblici, come per esempio gli agenti di polizia, che a più riprese hanno chiesto provvedimenti a tutela della loro posizione, anche da parte della giustizia penale.
Le nuove norme di legge dovrebbero infatti fornire questa maggior tutela.
Si, anche se la disposizione che prevede la perseguibilità d’ufficio delle aggressioni può alimentare aspettative eccessive.
In che senso?
Devo fare una premessa: fatti come quelli di cui stiamo discutendo, ossia le ingiurie, eventuali minacce o vie di fatto vengono in genere perseguite solo a querela di parte. In altre parole, la vittima deve sporgere querela alla polizia o al ministero, denunciando quanto è successo. Nel caso dei trasporti pubblici, il legislatore ha invece voluto riconoscere il ruolo delicato svolto dal personale. I medesimi fatti a danno di un agente dei trasporti pubblici non devono quindi essere oggetto di una querela formale, ma basta una segnalazione all’autorità.
Dovrebbe essere una differenza importante.
Lo è, ma ciò non toglie che per aprire un procedimento, l’autorità deve venire a conoscenza dei fatti. Questo è un po’ il nocciolo del problema! Le norme della legge sulle ferrovie e della legge sul trasporto viaggiatori che dicono che attacchi fisici, minacce e insulti vengono perseguiti d’ufficio, non significano che ciò avvenga automaticamente. Chi subisce un’aggressione, deve comunicarcelo. Una volta che ne siamo al corrente, dobbiamo poi agire e qui mi sento di dover fare un’altra precisazione.
Quale?
Il fatto che il delitto venga perseguito d’ufficio non può evitare in tutti i casi un coinvolgimento della vittima nell’in- chiesta. Il codice di procedura penale permette, a seconda del caso, di far capo solo ad un rapporto dettagliato, ma può comunque succedere che la vittima, quindi il o la collega, venga chiamata a deporre o anche a sostenere un confronto con l’aggressore.
Noi pensavamo però proprio che il personale venisse risparmiato da queste procedure, che possono rivelarsi molto delicate.
Me ne rendo conto, ma fare un’inchiesta vuol dire raccogliere le prove, l’identificazione e l’interrogatorio dell’imputato per metterlo a confronto con quanto accertato. In questo ambito, se ad esempio l’imputato nega ogni responsabilità, può sorgere la necessità di un confronto con la vittima, anche se spesso gli accertamenti svolti preliminarmente permettono di verificare i fatti senza dover coinvolgere di nuovo la vittima.
Resta però il problema di sapere chi deve fare la segnalazione e a chi?
È vero. Un dipendente che ha segnalato alla propria azienda di aver subito un’aggressione può aspettarsi che parta d’ufficio un’inchiesta e sentirsi quindi frustrato che ciò non accada. Dobbiamo però considerare che non vi sono obblighi di legge per l’azienda di segnalare azioni ai danni del personale alle autorità, anche se sarebbe auspicabile che avvenga.
Noi partivamo proprio dal presupposto che le aziende fossero tenute a segnalare i casi di aggressione alle autorità.
È l’equivoco di cui parlavo prima. Personalmente ritengo che l’azienda che riceve la segnalazione di un proprio dipendente vittima di un’aggressione dovrebbe prendere contatto con lo stesso per sentire cosa è successo e discutere il da farsi, in modo che anche il o la dipendente si senta tutelato/a ma, lo ripeto, non mi risulta vi siano obblighi di sorta per l’azienda.
Ci è però già capitato di constatare che segnalazioni fatte dal personale all’azienda non abbiano ricevuto alcun seguito, magari perché la direzione ha rapporti particolari con il cliente, che non vuole guastare.
Capisco ma, come detto, almeno a livello legale non vi sono obblighi. Magari si possono trovare altri mezzi per ancorare un obbligo di assistenza al dipendente. Posso immaginarmi, ad esempio, che un obbligo per l’azienda di tutelare il suo personale, segnalando i casi di aggressione alle autorità e utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione, possa essere sancito, da un CCL. Nell’ambito dei rapporti tra le parti sociali si dovrebbero definire anche altre forme d’impegno da parte dell’azienda a tutelare la posizione del proprio personale: uno dei motivi di maggior reticenza nel denunciare i fatti è dato dalla necessità di fornire le proprie generalità, indirizzo compreso. In questi casi, si può secondo me chiedere di indicare la sede di servizio, evitando quindi di esporre privatamente il collaboratore o la collaboratrice. Coinvolgere l’azienda potrebbe inoltre semplificare la raccolta di prove, come testimonianze di colleghi, utenti o altri e facilitare il ricorso alla videosorveglianza, le cui immagini devono essere salvaguardate tempestivamente, poiché per legge possono essere conservate, senza ordini specifici, per un lasso di tempo abbastanza breve. Oppure ancora vi possono essere delle registrazioni di comunicazioni con la centrale, di cui il procuratore può chiedere il sequestro. Molto spesso si tratta di prove determinanti.
Presso diverse aziende, vi sono sistemi che allarmano direttamente la polizia. Un suo intervento sollecitato in questo modo è sufficiente a promuovere un provvedimento?
Si, dato che la Polizia è stata messa a conoscenza di un reato, deve senz’altro aprire un procedimento. La segnalazione deve essere considerata come avvenuta.
Se invece il o la dipendente inoltrano una segnalazione all’azienda e questa non vi dà seguito, non resta altro che farsi avanti personalmente. Dato che comunque si tratta di un delitto perseguibile d’ufficio, non dovrebbero essere obbligati a sporgere una querela formale.
In effetti è così. La querela è l’atto formale con il quale la vittima di un reato «normale» chiede l’apertura di un procedimento a carico dell’autore. Nel caso di un reato perseguibile d’ufficio, invece, basta una denuncia, o una segnalazione (i due termini in questo caso si equivalgono) alle autorità. Vi potrebbe per esempio essere il caso di una segnalazione di un reato da parte di un testimone. Se si tratta di un reato perseguibile d’ufficio, dobbiamo darvi seguito, anche senza l’intervento del diretto interessato.
In questo caso, potremmo dire che la vittima del reato viene quasi coinvolta nel procedimento suo malgrado.
Esatto. Se la persona che ha fatto la segnalazione, dando così il via al procedimento, è al tempo stesso la vittima, e quindi parte in causa, può assumere ruoli più o meno attivi all’interno del procedimento stesso: può limitarsi alla segnalazione, oppure può seguire da vicino il procedimento e sollecitarne i progressi, oppure ancora richiedere dei risarcimenti sul piano civile.
Per contro, se il segnalante è una terza persona, oppure l’azienda, può tutt’al più chiedere di essere tenuta al corrente dell’evoluzione del procedimento.
Come ho già detto, però, il o la dipendente devono comunque aspettarsi di essere coinvolti nel procedimento in una qualche forma, non fosse che per la stesura di un verbale.
Abbiamo avuto casi in cui il personale ha tentato di tutelarsi, per esempio registrando colloqui «spinosi» con il telefonino.
È una questione delicata, in quanto, in linea di principio, la registrazione di un colloquio ad insaputa dell’interlocutore non è ammessa. L’interlocutore dovrebbe essere avvisato. Questo annuncio potrebbe già da solo avere un effetto calmante o dissuasivo. Anche in mancanza di questo annuncio, un magistrato potrebbe decidere di utilizzare un’eventuale registrazione, soprattutto laddove vi sono già avvisi che indicano che la zona (il bus, la carrozza del treno o la stazione) è sorvegliata.
Noi abbiamo l’impressione che, purtroppo, quello delle aggressioni ai danni del personale dei trasporti pubblici sia un fenomeno in aumento. Cosa può dirci?
Non sono in grado di dare cifre, poiché il nostro sistema informatico è mirato più alla gestione degli incarti che non all’elaborazione di dati statistici. Ho avuto l’impressione che le segnalazioni che ci giungono non siano particolarmente numerose. Sarei lieto di poter pensare che ciò sia dovuto ad un fenomeno limitato, ma temo che vi siano problemi di comunicazione di questi fatti. Non posso quindi che invitare a segnalare nei dovuti modi eventuali aggressioni, in modo da avere un quadro realistico di questo preoccupante fenomeno e, soprattutto, per poterlo arginare.
Pietro Gianolli