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Le sfide del coronavirus: le risorse dentro di noi

L’immagine della «Breve guida tascabile per tempi difficili» realizzata in Ticino, primo cantone colpito dal Coronavirus, da autorità cantonali ed esperti.

Psicologo, psicoterapeuta, docente alla SUPSI, ricercatore e membro della Task force di esperti creata dal Canton Ticino per rispondere alle ansie legate al Coronavirus: Lorenzo Pezzoli ci aiuta ad illuminare tratti di questo nuovo percorso che sconvolge le nostre vite. Anche sul lavoro.

Professor Pezzoli, questa pandemia ha profondamente sconvolto le nostre abitudini. Come facciamo a trovare dentro di noi le risorse per muoverci in questa nuova situazione?

È vero. Pensiamo solo ad alcuni aspetti che la pandemia ha generato: la dimensione inaspettata e imprevista dell’evento, la minaccia alla vita (personale e dei propri cari), alla quotidianità, ai confini che abitualmente consideriamo nel nostro abituale muoverci, ma anche la libertà che non è più riferimento scontato e «acquisito», così come l’autonomia… e poi ancora, se non soprattutto, le dimensioni relazionali che hanno perso il registro dello scontato in quanto, da un lato, se ne sente la mancanza come nel caso delle separazioni e delle distanze imposte, mentre dall’altro le si percepisce come potenziale minaccia tanto sono esposte al logoramento per l’estrema vicinanza determinata dalla convivenza. Queste sono solo alcune delle dimensioni critiche che si stanno vivendo. Dimensioni capaci di suscitare emozioni tra le più disparate, ma anche stimolare necessarie ridefinizioni del proprio modo di guardare la realtà e le cose della vita. Eppure non ci sono solo questi aspetti, a volte siamo dominati, come se fossimo a teatro, da una sorta di effetto riflettore per cui vediamo solo ciò che è in luce, quello su cui la nostra attenzione è attratta oppure su cui l’iperesposizione (volontaria e involontaria) a informazioni di ogni genere e tipo ci sollecita. Focalizzandoci solo su ciò che ci spaventa, con tutti gli aspetti negativi che questo porta con sé, perdiamo di vista le altre cose che ci sono, e ci sono sempre, sul palcoscenico della vita. Solo che non essendo debitamente messe in luce non le vediamo e non le consideriamo. Accorgersi di loro non serve a distrarci, ad illuderci che il male, il disagio, le difficoltà non ci siano. Non siamo ingenui. Guardare anche alle cose positive, utili, belle che comunque la vita dona, ci aiuta a considerare che non tutto è male, negativo, perdita. Anche nelle situazioni critiche ci sono ricchezze inaspettate e possibilità. Cambiare in questo modo prospettiva non ci toglie il dolore, ma ci aiuta ad attraversarlo. Mi piace ricordare una frase dello scrittore J. R. Tolkien il quale sottolineava che il mondo «è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle e, nonostante l’amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce più forte».

Le persone sane, che devono lavorare e spesso assumere anche compiti che prima spettavano a un/una collega, sono anche loro confrontate con un carico psicologico notevole. Come gestire la situazione?

Dare un senso a quello che si fa è un percorso che non toglie dalla situazione che si sta vivendo ma che ridefinisce la persona, ciascuno di noi, in rapporto ad essa. È il personale modo di guardare quella cosa che fa la differenza di come verrà affrontata e vissuta. Dando senso al proprio lavoro, alla propria attesa, alle fatiche, comprendendone il valore al di là della gratificazione immediata, aiuta ad andare avanti, sperimentando qualcosa di diverso del solo carico psicologico che porta con sé. O meglio, scoprendo che in quel carico c’è sicuramente molta fatica e molte difficoltà, ma anche molti fattori di crescita. Mi viene in mente l’esempio dei sacrifici che certi genitori fanno senza ricevere alcuna gratificazione dai figli, magari addirittura subendone reazioni sgradevoli. La forza che ricavano dal continuare su quella strada non sta nella soddisfazione immediata che ricevono, ma nel significato che essi danno alle loro scelte e ai loro comportamenti. È il senso e il valore che diamo alle cose che ci consente di affrontare le fatiche che esse comportano senza demordere.

Il telelavoro è bruscamente diventato una realtà diffusa. Chi lavora deve far convivere la dimensione professionale e privata e spesso non è facile stabilire confini netti.

Mettere confini, non solo spaziali in senso concreto, aiuta e orienta (o ri-orienta) in una realtà che si è modificata radicalmente. Siamo come cartografi che dobbiamo ritracciare le geografie del nostro mondo: relazionale, spaziale, temporale. Perdere i confini abituali senza stenderne di nuovi può gettare nella confusione e nel disorientamento. La giornata va ridefinita nella sua scansione con una ricollocazione delle attività all’interno di essa, scelte anche minute ma importanti, utili a restituirci dei limiti che, paradossalmente, aiutano a proteggersi da un disordine che può angosciare troppo. È la medesima operazione che val la pena fare con le emozioni: mettere confini è utile. Nel concreto gli orari e i momenti della giornata vanno ristabiliti sulla nuova condizione, a volte anche ritualizzati un po’; alcune abitudini mantenute, dalla doccia alla mattina al vestirsi, ma anche alle pause da riempire con cose che sappiamo farci bene.

C’è anche chi si ritrova improvvisamente a lavorare da solo e pertanto isolato. Questa improvvisa situazione di solitudine che rischi può comportare? E quali le soluzioni?

Restare isolati rappresenta un rischio perché accentua l’autoreferenzialità ed erode la dimensione del confronto così come del beneficio del senso di comunità. È utile stabilire un senso di comunità nei rapporti che si hanno come si può e con quello che si ha a disposizione. Quella che stiamo attraversando è una crisi globale, una crisi comunitaria nel senso più pieno del termine. Infatti la pandemia non attiene a quella regione, a quello stato, a quel paese, ma a tutto il mondo. È una crisi dell’ umanità intera, forse la crisi più profonda che coinvolge, direi in contemporanea, tutte le persone della terra. Questo ci suggerisce che il rischio dell’isolamento ci espone a due dimensioni. La prima è quella dell’autoreferenzialità che ho citato all’inizio. Se si cade in questa dimensione ciò che si finirà per fare risponderà esclusivamente a bisogni individuali, con quello che questo comporta come impatto negativo per gli altri. In tal senso si può pensare alla spesa incontrollata, del fare scorte immotivate. Questo priva altre persone del genere di consumo necessario solo perché chi è venuto prima ha pensato esclusivamente a sé. La seconda dimensione è che l’isolamento impedisce di beneficiare della solidarietà e della condivisione che è un fattore prezioso per il proprio benessere mentale, utile anche per l’attraversamento dei tempi difficili della vita. Sentirsi vicini incide, anche fisicamente, sulle proprie risorse di resistenza e di adattamento. Fare comunità quindi, con tutti i mezzi a disposizione e nel rispetto delle norme, non è la soluzione ma lo strumento per attenuare gli effetti negativi dell’isolamento.

Chi lavora nel trasporto pubblico svolge un servizio pubblico e continua a farlo anche in questo periodo di emergenza sanitaria, con un carico di ansia non indifferente. Quali consigli si sente di dare per far fronte a questa nuova situazione?

Spesso si parla di persone che lavorando al fronte. Lo si fa pensando ai sanitari impegnati nella cura del Covid 19, quelli che sono in corsia ai quali va tutta la nostra gratitudine e il nostro plauso. Ma i «fronti», se ci teniamo a utilizzare questo concetto bellico, sono molti; basti pensare agli operatori sociali che lavorano negli istituti per l’handicap, alle cassiere che garantiscono l’apertura dei negozi e via via comprendendo, tra le persone al fronte, anche tutti i lavoratori del trasporto pubblico che mantengono, nonostante tutto, un servizio prezioso. Sapersi importanti per la comunità, torniamo su questo concetto, non toglie l’ansia ma, come dicevo prima, dà senso e valore a quello che si compie. Essere consapevoli di ciò, concentrandosi nel qui ed ora e attendendo a quelle precauzioni e a quella cura utile a proteggersi, questo può aiutare ad affrontare con maggiore consapevolezza ciò che si fa che è già un primo passo per vivere meglio una situazione difficile. Già assumere questa disposizione aiuta. Il coraggio non nasce allora da una superficiale negazione della paura, ma dalla consapevolezza profonda del valore e del senso di quanto si fa.

Françoise Gehring
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