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L’emergenza climatica porta i/le giovani nelle piazze

Il Parlamento europeo ha dichiarato l’emergenza climatica e ambientale in Europa e nel mondo, dando il via libera ad una risoluzione non legislativa. L’Eurocamera rilancia così la sfida alla futura Commissione europea. In Svizzera e in Ticino alcune città hanno adottato delle risoluzioni sull’emergenza climatica. Intanto i Verdi e i giovani verdi vodesi hanno presentato un’iniziativa popolare per includere la protezione del clima nella costituzione cantonale. Il testo mira a promuovere una politica di disinvestimento dei combustibili fossili a livello comunale e cantonale.

«L’uomo è fatto per la terra e non potrebbe vivere altrove, per questo faremmo meglio a utilizzare il nostro tempo e la nostra energia per riparare i danni provocati dall’attività umana». Con queste parole il vincitore del Premio Nobel 2019 per la fisica, lo svizzero Didier Queloz innanzitutto riconosce la natura antropogenica dei cambiamenti climatici che ogni giorno vediamo manifestarsi sulla Terra e in seguito esorta tutta la società ad agire nel tentativo di limitarli e contrastarli. Condividono lo stesso pensiero altre persone insignite dello stesso premio negli anni scorsi, tra cui lo statunitense William Nordhaus, premio Nobel 2018 per l’economia, e in particolare lo svizzero Jaques Dubochet, premio Nobel 2017 per la chimica nonché volto della battaglia in favore del clima in Svizzera. Dubochet, in una recente intervista concessa al quotidiano Le Temps, incita all’abbandono di quella che lui definisce sonnolenza passiva, stato mentale che ci permette di ignorare gli effetti dei cambiamenti climatici, immergendoci nella routine quotidiana composta da un piacevole consumismo. Egli sprona invece i lettori verso una presa di coscienza della situazione ambientale e a un’azione contro la catastrofe che si sta realizzando.

Un recente articolo scientifico riesaminato da pari e redatto da James Powell, un rinomato geologo, ex direttore di diverse università americane, indica come il consenso riguardo all’origine antropogenica del riscaldamento globale tra i differenti autori di più di undicimila articoli scientifici sul cambiamento climatico pubblicati nei primi sette mesi del 2019 si attesti al 100%. Considerato ciò possiamo una volta per tutte dichiarare che la crisi ambientale non è più un’ opinione, bensì un fatto che richiede rapide prese di posizione e azioni di grande impatto per contrastarla il più presto possibile.

Secondo il rapporto 2018 del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico saremmo di fronte a tre possibili scenari per quanto riguarda l’aumento della media delle temperature globali rispetto ai livelli preindustriali: un aumento di 1.5 °C è ipotizzabile unicamente se le emissioni di diossido di carbonio nell’aria venissero azzerate entro il 2050 (come auspicato dall’Accordo di Parigi), nel caso questo obiettivo venisse raggiunto vent’anni dopo, l’aumento ammonterebbe almeno a 2 °C. Nel peggiore dei casi invece, se nessuna misura di riduzione del CO2 nell’aria fosse presa dalle nazioni del Mondo, l’aumento potrebbe arrivare a 3 °C secondo i più ottimisti o addirittura a 10 secondo altri. Qualsiasi sia la strada che la popolazione mondiale deciderà di intraprendere le terre emerse e gli oceani subiranno le conseguenze dell’innalzo delle temperature, sebbene il loro impatto sarà di portata differente. Il livello dei mari continuerà ad aumentare a causa dello scioglimento dei poli. I ghiacciai continueranno a ritirarsi provocando problemi di approvvigionamento idrico, i deserti avanzeranno rendendo aride zone attualmente fertili (come già succede in Tunisia). I periodi di canicola aumenteranno in termini di frequenza e durata e eventi catastrofici quali uragani e terremoti, un tempo rari, diverranno quasi all’ordine del giorno.

No al «Greenwashing» - Sì all’impegno concreto

È evidente che il surriscaldamento climatico non andrà unicamente a colpire gli ecosistemi e a ridurre la biodiversità, i suoi effetti saranno devastanti anche a livello economico, sociale e sanitario. Sono da prevedere nei prossimi anni, anche alle nostre latitudini, esodi di rifugiati climatici, persone che non avranno più la possibilità di abitare la loro terra natia a causa non di guerre ma del mutamento delle condizioni ambientali, un aumento delle vittime del caldo estivo, una crescita della disoccupazione nel settore dell’agricoltura. In particolare sarà da prevedersi un annullamento di grandi risultati ottenuti in ambito della lotta alla povertà, come fa notare l’economista e premio Nobel 2019 Esther Duflo, in quanto gli effetti più devastanti si osservano tra le popolazioni del sud. Si passerà ben presto da una crisi ambientale a una crisi totale del sistema sul quale abbiamo basato il nostro stile di vita negli ultimi secoli. Fortunatamente alcune istituzioni hanno iniziato a dare ascolto ai moniti della comunità scientifica e stanno lentamente iniziando a mobilitarsi al fine di limitare i danni ambientali, vedasi ad esempio la conferenza dell’ONU sul cambiamento climatico tenutasi recentemente a Madrid ma purtroppo fallita miseramente. Avrebbe dovuto individuare soluzioni concrete per rispettare le clausole dell’ Accordo di Parigi. Anche in Svizzera alcune realtà locali hanno preso misure al fine di ridurre le emissioni di CO2, ad esempio la città di Berna ha adottato 22 per lottare contro il riscaldamento climatico, i legislativi dei Cantoni di Basilea Città, Vaud e Zurigo hanno accolto una risoluzione che dichiara l’emergenza climatica. In Ticino si sono associate le città di Mendrisio, Lugano e Locarno. Ma attenzione, ci raccomandiamo a che all’adozione di queste risoluzioni segua un impegno reale per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Non vogliamo di certo che venga unicamente adoperata quale strumento di «Greenwashing» al fine di permettere a taluni di poter approfittare dei benefici derivanti dall’«Onda Verde» che già ha caratterizzato le ultime votazioni federali. Servono fatti, servono fatti ora. Queste risoluzioni rappresentano dunque un’esortazione per l’impostazione di una politica ecologica cittadina efficace ed efficiente, che possa contribuire alla risoluzione del problema climatico e dare inoltre una risposta alle richieste delle centinaia di migliaia di cittadine e cittadini che più volte quest’anno sono scese in piazza per manifestare a difesa del nostro Pianeta.

Gabriele Manzocchi, ingegnere chimico, Enable JavaScript to view protected content.

Di inquinamento si muore. Pure in Svizzera

Un quarto delle morti premature e delle malattie in tutto il mondo è legato all’inquinamento e ai danni all’ambiente causati dall’essere umano. È quanto scrive l’Onu in un recente rapporto. «Le emissioni inquinanti nell’atmosfera, di sostanze chimiche che contaminano l’acqua potabile e la distruzione accelerata degli ecosistemi fondamentali per la sopravvivenza di miliardi di persone causano una sorta di epidemia globale che ostacola anche l’economia», si legge nella relazione. Il rapporto sul Global Environment Outlook (Geo), su cui hanno lavorato per sei anni 250 scienziati provenienti da 70 Paesi, mette in luce anche un crescente divario tra Paesi ricchi e poveri: l’eccessivo consumo dilagante, l’inquinamento e lo spreco alimentare nel mondo sviluppato portano a fame, povertà e malattie nelle aree meno sviluppate.

Insomma nel tempo di una pausa pranzo, 700 persone nel mondo perdono la vita a causa dell’inquinamento. Una ogni 5 secondi. Le stime sono state diffuse dall’esperto Onu per i diritti umani e l’ambiente David Boyd, che, parlando a Ginevra degli effetti dei cambiamenti climatici, ha dichiarato che l’umanità sta per causare la sesta estinzione di massa nel mondo.

Di inquinamento si muore, anche in Svizzera. Nel nostro Paese, infatti, ogni anno si registrano da 2200 a 2800 decessi per patologie legate all’inquinamento. In pratica ogni 24 ore si registrano da 6 a 7 vittime per malattie polmonari, soprattutto tumori, o disturbi cardiovascolari. Sotto accusa polveri fini, scarichi d’auto e altre sostanze tossiche che ogni giorno si respirano per strada. In Ticino si possono calcolare indicativamente 150 decessi l’anno. Una stima sulla base della popolazione svizzera, non essendoci statistiche a livello cantonale. «Ma i numeri non si dovrebbero discostare molto», ha spiegato il dottor Andrea Bordoni, responsabile del Registro cantonale dei tumori. Nel nostro Cantone, non è una sorpresa, il livello di inquinamento più alto si registra in particolare in zone come il Mendrisiotto, dove più volte si è levata la protesta anche di comitati spontanei, oltre quella recente dei sindaci.