Colpi di diritto
Tribunale del lavoro – 200 anni fa
Disdetta immediata, certificato di lavoro negato, prestazioni insufficienti: non sono invenzioni dei nostri giorni.
La padrona «l’aveva trattata tanto male e il mangiare era così cattivo da essere costretta a lasciare il servizio», si lamenta una servetta bernese nel 1792, rivolgendosi alla «Reformationskammer», la Camera per la difesa della moralità e della religione, che ai tempi della vecchia Berna, ossia prima del 1798, era competente per giudicare le controversie fra i «padroni» e la «servitù» delle locali economie domestiche.
Tina Adam, storica bernese, ha trovato la denuncia nel «manuale» della «Reformationskammer», una sorta di registro giornaliero dei casi trattati. Nella statistica delle centinaia di casi che ci sono stati tramandati per gli anni dal 1781 al 1797, il gruppo numericamente maggiore è quello delle «questioni relative al tempo di servizio». Al riguardo bisogna sapere che i contratti di lavoro prendevano avvio con la consegna del cosiddetto «Haftpfennig», una caparra che veniva versata alla servitù alla firma del contratto, essi duravano almeno un anno e poi erano rinnovati di volta in volta di altri sei mesi. Chi voleva sciogliere il contratto – come datore di lavoro o quale dipendente – doveva attenersi a certe scadenze. Le suddette «questioni relative al tempo di servizio» oggi vengono tradotte come mancato rispetto del termine di disdetta. Le vertenze avevano però come oggetto anche il salario, oppure i dipendenti (ai tempi il termine «servitù» non aveva una connotazione negativa) denunciavano il fatto che il padrone detenesse cose di loro proprietà (vivevano infatti sotto lo stesso tetto), fossero sottoposti a violenze verbali o fisiche o che non avessero ricevuto il «congedo», come era detto il certificato di lavoro. Dal canto loro, i «signori» si lamentavano che i domestici li avessero abbandonati, fossero scortesi o lavorassero male, e anche contro il personale di servizio non mancavano accuse di violenza fisica o verbale o di condurre una «vita dissoluta».
Fatti ben familiari a qualcuno che conosca dall’interno il tribunale del lavoro dei nostri giorni! Mentre oggi vi è una conciliazione al cui termine la controversia può essere regolata bonalmente con una procedura transattiva oppure viene rilasciata una «autorizzazione ad agire», ai tempi la «Camera» emanava un verdetto. E qui sta la differenza sostanziale: duecento anni fa, molti processi potevano concludersi per la «servitù» con un breve periodo... dietro le sbarre e il bando dalla città, connesso con il divieto di lavorare nelle case signorili dell’intero Cantone. Mentre ovviamente in nessun caso i «padroni» subivano una condanna detentiva né i datori di lavoro venivano espulsi. Molto spesso i lavoratori erano costretti ad assumersi integralmente o in parte le spese giudiziarie, oggi invece la procedura davanti al tribunale del lavoro è gratuita, almeno per cause fino a un certo limite.
Come si vede, le controversie per i termini di disdetta, il pagamento del salario o i certificati di lavoro c’erano già allora, e anche gli insulti e le vie di fatto non sembrano un’invenzione dei tempi moderni. Oggi però, il più delle volte le lavoratrici e i lavoratori ottengono almeno una parte delle loro pretese – perlomeno quando sono giustificate. E sono state eliminate anche le pene detentive per una disdetta senza preavviso da parte del dipendente!pan.
Il saggio sulle vertenze di lavoro nelle economie domestiche bernesi di Tina Adam è apparso nella Berner Zeitschrift für Geschichte, numero 4/2017, (Berna, dicembre 2017, pagine 3–37).