Colpi di diritto
Licenziamento contestato
Giorgio (nome fittizio) era impiegato in un’azienda di servizi ferroviari da 3 anni. Inizialmente, tutto andava bene, ma presto le ore in cui veniva chiamato al lavoro sono calate e, con esse, essendo retribuito a ora, il suo salario. Si è quindi ritrovato in difficoltà finanziarie, oltre che confrontato con un deterioramento delle condizioni di lavoro, con conseguenze negative anche per la sua salute. Gli venivano infatti richiesti sempre più spesso lavori molto più pesanti di quanto convenuto inizialmente, che gli causavano forti dolori di schiena. Oltretutto, gli orari di presenza sul lavoro si erano fatti sempre più lunghi, aumentando così le sensazioni di stanchezza e di stress.
Assistito dal proprio segretario sindacale, Giorgio ha esposto le sue critiche al datore di lavoro, chiedendo che le sue esigenze venissero tenute in debito conto. Per tutta risposta è stato convocato dalla direzione che gli ha comunicato il suo licenziamento, accompagnato dalla liberazione dei suoi obblighi a causa della «compromessione del rapporto di fiducia» che il datore di lavoro ha circostanziato addebitando a Giorgio diverse presunte lacune sul lavoro.
Il SEV ha quindi incaricato un avvocato di tutelare gli interessi di Giorgio.
Licenziamento contestato
Il legale ha in primo luogo contestato i motivi del licenziamento, dato che Giorgio si era sempre debitamente giustificato e scusato nei casi in cui aveva dovuto abbandonare il lavoro. Il rapporto di fiducia non poteva di conseguenza essere rimesso di discussione. Il legale ha quindi sostenuto che il licenziamento andava inteso come una vera e proprio rappresaglia, voluta per punire Giorgio delle sue richieste e delle lamentale per il degrado delle condizioni di impiego e di lavoro sue e dei suoi colleghi. Il legale ha quindi richiesto sei mesi di stipendio come indennità per licenziamento abusivo.
Sanzione ridotta
Il tribunale ha accolto la richiesta del legale del SEV, confermando l’abusività del licenziamento, in quanto il datore di lavoro non aveva dimostrato che le assenze di Giorgio erano ingiustificate, né le prestazioni lavorative di Giorgio erano tali da giustificare un licenziamento. Inoltre, il licenziamento era da considerare abusivo anche per la forma con la quale era stato emesso: il datore di lavoro aveva convocato Giorgio con il pretesto di discutere i suoi reclami, quando in realtà aveva già l’intenzione di licenziarlo. Giorgio, di conseguenza, era stato preso alla sprovvista, non si era fatto accompagnare dal suo segretario sindacale e non aveva di conseguenza avuto modo di far valere le sue ragioni. Questa possibilità non gli è stata concessa neppure in un secondo tempo. Pur accogliendo gli argomenti del legale del SEV, il tribunale ha condannato il datore di lavoro a riconoscere a Giorgio unicamente 3 mesi di salario.
Team di protezione giuridica