L’economia svizzera sembra essere in apnea dal 15 gennaio scorso:
Il contratto di lavoro e la crisi del franco
L’economia svizzera sembra essere in apnea dal 15 gennaio scorso: lavoro ridotto, salari in euro, aumento delle ore lavorative: tutto lecito?
L’abbandono del corso minimo dell’euro ha tolto una tutela alla nostra economia, esponendola al vento gelido della realtà. La prima reazione, come sempre in questi casi, è stata di invocare una riduzione dei costi. Dato che, come noto, una delle maggiori voci di spesa di ogni azienda è quella legata al personale, sono state prospettate misure che vanno dai licenziamenti al pagamento degli stipendi in euro.
A qualche settimana di distanza, si può constatare come la borsa abbia recuperato gran parte della perdita e come il franco svizzero sia tornato sensibilmente sopra la parità con l’euro.
Ciò nonostante, la situazione è ben lungi dall’essersi normalizzata. Ma che rapporti vi sono tra il corso dell’euro e le condizioni di lavoro in Svizzera?
La situazione economica ha senza dubbio ripercussioni sul mercato del lavoro: quando è in difficoltà, assistiamo quindi ad un aumento della disoccupazione.
Per lenire le conseguenze di questo fenomeno, le aziende possono far capo al lavoro ridotto, ossia ad una riduzione temporanea del grado di impiego concepita per salvaguardare posti di lavoro. I dipendenti devono essere d’accordo e ricevono una compensazione salariale dal datore di lavoro, il quale a sua volta viene indennizzato dalla Confederazione, rispettivamente dall’Ufficio regionale di collocamento. Oltre al lavoro ridotto, i media riportano spesso dell’adozione di altri provvedimenti, quali il pagamento degli stipendi in euro, le riduzioni generalizzate di stipendio o l’aumento delle ore lavorative a parità di stipendio.
Provvedimenti sui quali però non vi sono margini di manovra. Lo stipendio previsto dal contratto di lavoro deve essere versato nella valuta del posto, ossia, nel caso della Svizzera, in franchi. Un versamento in euro non deve essere accettato, nemmeno nel caso in cui esso preveda l’importo corrispondente. Tanto più che, molto spesso, questa condizione non viene rispettata.
Il salario è una delle componenti principali del contratto di lavoro. Il datore di lavoro non può semplicemente decidere di ridurlo e, se lo fa versando una cifra inferiore, può essere perseguito dal dipendente per la differenza. Né in questi casi basta una semplice comunicazione o un’azione unilaterale. Il contratto deve essere modificato, per esempio tramite quella che viene comunemente chiamata la disdetta-modifica. Quest’ultima è senz’altro possibile, specie in settori in cui gli stipendi non sono fissati a livello di CCL. Se però queste modifiche sono dettate unicamente dalla volontà di abbellire i bilanci, oppure di soddisfare gli azionisti, vale la pena di chiedere una verifica legale e se non si è confrontati con un caso di abuso.
Resta quindi la possibilità di aumentare il lavoro per lo stesso stipendio. In genere, le ore in più sono da considerare ore supplementari da indennizzare di conseguenza. Va poi considerato che, generalmente, ogni settore ha definito un proprio massimo di ore di lavoro settimanale, variante tra le 40 e le 45.
Quindi, nemmeno questa possibilità è così semplice, anche perché la durata del lavoro ammissibile è regolamentata, definita come componente del contratto di lavoro e quindi vincolante per entrambe le parti. Al di là di tutte le vicende dell’euro e del franco svizzero, vige sempre ancora il principio che un contratto va rispettato e che le aziende non possono semplicemente scaricare sulle spalle dei dipendenti ogni rischio.
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