Il buon funzionamento del sistema svizzero di trasporti pubblici dipende dai numerosi immigrati che vi lavorano
«Senza di noi non ci sono trasporti pubblici!»
Nella sua giornata della migrazione, svoltasi sabato 19 novembre a Olten, il SEV ha lanciato una campagna per contrastare la xenofobia e le continue polemiche politiche nei confronti di straniere e stranieri in Svizzera.
Erano oltre 50, le colleghe e i colleghi dei trasporti pubblici riunitisi all’hotel Olten per la giornata della migrazione che aveva all’ordine del giorno il varo della campagna contro la xenofobia. Il compito di presentarla è toccato al segretario sindacale Arne Hegland, che cura i contatti con le immigrate e gli immigrati in seno al SEV. Hegland ha preso l’esempio delle nostre assicurazioni sociali per illustrare come vengano diffuse menzogne e false verità per alimentare l’odio e la diffidenza nei confronti degli stranieri e ricavarne un profitto politico. In realtà, a beneficiare dell’apporto di immigrate ed immigrati non sono solo le ditte edili, gli ospedali, le case per anziani, le aziende di servizi e quelle ad alta tecnologia, o le scuole superiori. Anche le nostre assicurazioni sociali ne traggono vantaggio: nel 2009, la quota di stranieri era del 22 percento, ma essi versavano il 26,7 percento dei contributi AVS e AI, ricevendo il 17,9 percento delle prestazioni. Anche considerando solo l’AI, possiamo constatar come i contributi degli immigrati superino le prestazioni a loro versate, nonostante essi siano spesso chiamati a svolgere lavori pesanti e gravosi per la salute. «Senza le immigrate e gli immigrati, le nostre assicurazioni sociali sarebbero in grave difficoltà», ha quindi concluso Arne Hegland. Il presidente del SEV Giorgio Tuti ha ricordato che senza l’apporto degli immigrati non avremmo le gallerie ferroviarie del Gottardo, del Sempione e del Lötschberg e ha precisato «senza immigrate e immigrati, il nostro sistema di trasporti pubblici non potrebbe funzionare ». Presso le FFS, rappresentano circa il 12 percento dell’effettivo totale, con diversi settori, come la costruzione di binari, la pulizia, la manutenzione del materiale rotabile e la ristorazione ferroviaria che hanno una quota molto maggiore. Presso i trasporti di Losanna, la quota di immigrati è del 35 percento e a Ginevra persino del 45 percento.
Obiettivi e mezzi della campagna
Gli obiettivi della campagna del SEV «Senza di noi niente trasporti pubblici »:
- sensibilizzazione dell’opinione pubblica;
- sensibilizzazione degli ambienti sindacali (SEV, USS);
- promozione della fiducia in sé stessi tra i migranti del SEV;
- sostegno della posizione dei migranti in seno al SEV.
La campagna disporrà dei mezzi seguenti:
- striscioni «senza di noi non ci sono trasporti pubblici» per assemblee e manifestazioni;
- bandiere «senza di noi – contro la xenofobia»;
- cartoline «senza di noi...» con cinque foto di settori in cui sono attivi molti immigrati: binario, pulizia, officine, ristorazione, guida di bus;
- articoli nei giornali SEV
«Senza immigrati, non avremmo trasporti pubblici...»
… è il messaggio riportato dalle cartoline che i partecipanti alla giornata hanno preso con loro per distribuirle. Questa distribuzione verrà effettuata anche dal SEV presso le varie aziende e all’utenza dei trasporti pubblici il prossimo 13 dicembre.
Oltre al lancio della campagna contro la xenofobia, i partecipanti al convegno hanno potuto ascoltare una relazione di Marc Spescha (vedi a pag. 10) e discutere in gruppi di lavoro e nel plenum le loro esperienze di immigrati in Svizzera.
Esperienze dolorose
Lo stesso Giorgio Tuti, per esempio, ha ricordato una domenica di tensione, vissuta dalla sua famiglia a Gerlafingen nel 1972, quando aveva otto anni. Quel giorno, il popolo si è pronunciato sull’iniziativa Schwarzenbach che, se accolta, avrebbe obbligato la famiglia Tuti a lasciare la Svizzera. «È stato un grandissimo sollievo, poter continuare ad andare a scuola e a giocare qui, con i miei compagni. È un ricordo che mi porto ancora dentro.»
I più anziani hanno riferito dell’umiliazione di visite mediche alle stazioni di frontiera. Gli stagionali che non venivano giudicati in piena salute venivano immediatamente rispediti nella loro nazione di provenienza. Sono affiorati anche ricordi di rimpatri di famigliari che avevano raggiunto illegalmente il marito e il papà in Svizzera e di emarginazione nelle scuole. I miei migliori amici erano bambini di famiglie povere e orfani», ha ricordato un macchinista di 62 anni, giunto in Svizzera romanda 57 anni fa dall’Italia meridionale. «La maestra ci mandava nei banchi di fondo e ci ignorava sistematicamente. In fondo, a che serviva insegnare a leggere e scrivere ad un futuro manovale? Per fortuna, ho potuto contare su di una vicina, che mi ha aiutato ad imparare il francese.»
Speranza e preoccupazione
Nel frattempo, il trattamento degli immigrati è diventato molto più umano. «La Svizzera si è molto evoluta e i giovani Svizzeri mi danno speranza! Viaggiano molto e molti hanno amici tra gli immigrati. I razzisti sono pochi. Ho visitato mio figlio alle porte aperte della scuola reclute e mi ha impressionato la multiculturalità che vi ho trovato. Mi sono detto: è meglio che in America.».
Un altro collega ha invece espresso una certa amarezza, dato che si è visto rifiutare la procedura di naturalizzazione semplificata e ha quindi dovuto sottoporsi a quella normale. Eppure da oltre 50 anni vive in Svizzera con la moglie che ha già ottenuto la cittadinanza.
Hanno suscitato riflessioni anche le difficoltà amministrative di un collega che voleva riportare in Svizzera la madre disabile, rientrata in Italia anni prima insieme al marito. Dopo il decesso di quest’ultimo, le autorità svizzere non hanno voluto assisterla, nonostante avesse lavorato per numerosi anni nel nostro paese e beneficiasse già di una rendita. Al riguardo, Marc Spescha ha precisato che l’accordo sulla libera circolazione garantisce in questi casi la possibilità di rientro.
Altri colleghi, giunti più tardi da noi, per esempio dal Portogallo e giovani della seconda generazione hanno ammesso di non essere stati confrontati con i problemi di integrazione vissuti negli anni ’50 e ’60 dagli Italiani. Le lotte che questi avevano condotte contro le ingiustizie più flagranti hanno quindi dato i loro frutti. Ciononostante, vi sono ancora casi di persone confrontate con episodi di xenofobia, più o meno sottili.
«Anch’io dovevo sedermi in fondo all’aula, ma ho poi potuto farmi avanti», ha raccontato un giovane collega delle FFS. Succede però che gli Svizzeri non vedano di buon occhio quando uno straniero riesce a prendere un buon posto e che gli facciano pesare questa situazione: «Se sei straniero, devi sempre dare qualcosa in più e non hai il diritto di ammalarti. A volte mi chiedo fino a quando sarò in grado di farlo...»
Gli immigrati sono poi spesso confrontati con la tendenza di fare di tutte le erbe un fascio e quindi di essere accomunati a richiedenti d’asilo che commettono delitti, nonostante abitino magari da decenni in Svizzera.
In generale, suscita profonda preoccupazione la campagna politica in corso, che alimenta la diffidenza, sfociata nella disumana e sproporzionata iniziativa sull’espulsione di un anno fa (vedi riquadro). È proprio per combattere questa situazione che il SEV ha varato la sua campagna.
Markus Fischer