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Referendum

Il gusto amaro dell’olio di palma

«Diciamo stop all’olio di palma». Con questo slogan il sindacato agricolo Uniterre, il viticoltore indipendente Willy Cretegny nonché delle associazioni in favore del clima e dei diritti umani hanno lanciato ufficialmente un referendum contro l’accordo di libero scambio con l’Indonesia approvato lo scorso 20 dicembre dal Parlamento. Per il Parlamento elvetico, che ha approvato l’accordo a larga maggioranza, l’Indonesia rappresenta un partner commerciale potenzialmente importante per la Svizzera, anche in considerazione delle prospettive di crescita economica elevata del Sud-Est asiatico.

A nulla sono dunque valsi gli appelli di un grande numero di enti e organizzazioni della società civile e dell’agricoltura. Per l’alleanza che ha lanciato il referendum è chiaro: tale decisione è irresponsabile e in contraddizione con l’esigenza di un commercio sostenibile iscritto nella Costituzione. Willy Cretegny non ha moderato le parole alla conferenza stampa del 27 gennaio a Berna. «A 11’000 chilometri da qui, questo accordo rappresenta la propaganda della monocultura delle palme da olio, la distruzione della foresta tropicale, l’accettazione del lavoro delle bambine e dei bambini e del lavoro forzato, l’utilizzo di pesticidi altamente tossici e lo spostamento delle popolazioni indigene». Per la portavoce delle attiviste e attivisti dello Sciopero del clima Michelle Reichelt, l’accordo concluso con l’Indonesia «dimostra a che punto il Consiglio federale non prende seriamente in considerazione la crisi climatica».

La giovane militante ha poi denunciato come «un quarto di una delle zone della foresta tropicale umida fra le più ricche sia sparita per lasciare posto alla produzione di olio di palma. Non solamente animali come l’orangotango, gli elefanti di foreste e le tigri sono minacciati di estinzione a causa della deforestazione, ma le ceneri ardenti su terreni torbosi lasciano pure sprigionare nell’atmosfera una quantità particolarmente importante di diossido di carbone e di metano presenti nel sottosuolo. Ciò fa dell’ Indonesia uno dei più grandi paesi al mondo ad emettere CO2».

Negli ultimi decenni, lo sfruttamento delle risorse fossili e minerarie, il depauperamento delle foreste per l’industria della cellulosa e soprattutto il devastante impatto dell’urbanizzazione e delle piantagioni di olio di palma hanno danneggiato irreversibilmente la stragrande maggioranza del territorio. Un rapporto della FAO sulla deforestazione in Indonesia attesta che tra 1990 e 2011 si sono persi ogni anno più di 1 milione di ettari di foreste. Le poche oasi verdi rimaste, inoltre, sono spesso troppo piccole ed isolate per garantire la sopravvivenza delle specie presenti. Un altro rapporto speciale del WWF sugli investimenti operati da fondi esteri sui settori della cellulosa e le piantagioni di palme da olio dimostra come il ruolo dei soldi della Confederazione, investiti in casse pensioni e fondi d’investimento attraverso banche svizzere, siano stati gli artefici di questa carneficina ambientale. Se la Svizzera ha intenzione di continuare a definirsi neutrale in ogni aspetto e non avere dubbi di coscienza verso i disastri ecologici del mondo, allora deve essere consapevole dell’impatto a cui contribuisce nel contesto globale.

Gli autori del referendum hanno pure sollevato la problematica dell’appropriarsi delle terre da parte delle grosse società produttrici di olio di palma, a spese dei contadini tradizionali cacciati dalle loro terre e che vanno a gonfiare i ranghi della migrazione forzata. Già da tempo, ossia nel 2014, l’ONG Alliance Sud aveva criticato l’accordo di libero scambio mentre si svolgevano i negoziati. E aveva dato la parola, in uno dei suoi approfondimenti, a Bala Chelliah, rappresentante dell’ONG SUARAM a Ginevra. Chiarissima la sua analisi: «La Malesia aspira a diventare un paese sviluppato entro il 2020. Ha fatto molti progressi, ma per quanto riguarda i diritti umani delle popolazioni autoctone e delle minoranze, è ancora molto in ritardo». Chelliah aveva inoltre puntato il dito contro la «Nuova politica economica» rea di essere diventata uno strumento di discriminazione. «Non sarà la gente di strada a beneficiare di quest’accordo, bensì l’élite al potere che possiede tutte le aziende».

Il segretario sindacale di Uniterre Rudi Berli ha ricordato che la Svizzera ha un tasso di autosufficienza del 35% per gli oleosi, un livello di produzione nazionale che sarebbe giusto mantenere sia per ragioni ecologiche che economiche. Mentre l’olio di palma è al secondo posto fra gli oli alimentari importati in Svizzera, con un volume di 32.000 tonnellate, l’accordo firmato concede delle riduzioni doganali per 22.500 tonnellate di olio di palma dell’Indonesia. «L’olio di palma, meno caro, ha guadagnato questa parte di mercato nel corso degli ultimi 20 anni a scapito dell’olio di girasole. L’obiettivo dell’industria agroalimentare rimane quello di procurarsi delle materie prime il più liberamente possibile e al prezzo più basso possibile, con delle conseguenze fatali per le persone e l’ambiente».

Françoise Gehring con agenzie e Alliance Sud