Il voto operaio in Svizzera

Per chi vota davvero

Line Rennwald è dottore in scienze politiche e ha svolto ricerche sul voto della classe operaia in Svizzera e all’estero. Per la Svizzera, ha analizzato le elezioni federali dal 1971 al 2011, constatando un netto cambiamento del voto espresso dalle classi popolari. Se negli anni ’70 il partito socialista poteva contare su di un forte sostegno della classe operaia, oggi è soprattutto l’UDC ad attirare numerose persone di queste categorie.

contatto.sev: Line Rennwald, lei ha svolto uno studio sul voto della classe operaia in Svizzera. Come definisce questa classe operaia?

Quando parliamo di operai, spesso ci riferiamo a operai salariati qualificati e non. La crescita del settore terziario ci permette però di ampliare questa definizione anche ai dipendenti dei servizi, attivi per esempio nei settori della vendita o della sanità. La classe operaia non è più quindi solo quella che lavora nelle fabbriche. E quando parliamo del voto della classe operaia, ci riferiamo a quello delle classi popolari nel loro insieme.

Nel suo studio, ha anche intervistato direttamente elettrici ed elettori?

Solo in un primo tempo. In seguito, mi sono basata piuttosto sui sondaggi svolti da SELECTS (Swiss electoral studies), dai quali ricavo i dati da esaminare. Per questo, non dispongo ancora dei dati delle elezioni federali 2015, che dovrebbero essere pubblicati prossimamente.

Lei ha esaminato il comportamento elettorale degli Svizzeri su 40 anni. Quali sono le conclusioni più evidenti?

Negli anni ’70, gli operai sostenevano in modo chiaro il partito socialista (PS), che era di conseguenza molto forte. In seguito, a partire dagli anni ’80, vi è stata un’evidente erosione di consensi per il PS, seguita da un periodo di vuoto politico contraddistinto da un dilagare dell’astensionismo. È solo più tardi che questa classe operaia si è viepiù rivolta verso l’UDC, profilatasi come partito populista di destra. Da un 40 percento che votava PS, siamo quindi passati ad un 40percento che vota UDC.

Ma possiamo affermare che la classe operaia abbia perso importanza?

Il numero degli addetti alle professioni manuali, nell’insieme dell’elettorato, in questo periodo si è in effetti dimezzato. Nell’ambito dell’elettorato socialista, invece, il suo numero si è diviso per tre. Il cambiamento dell’elettorato socialista è quindi stato più rapido delle modifiche strutturali nel modo del lavoro.

Ma di quali percentuali della popolazione stiamo parlando?

Le classi popolari rappresentano il 30 percento degli aventi diritto di voto. Aggiungendo chi lavora in ufficio, arriviamo ad un 40 percento.

Ma se le classi popolari si sono piuttosto orientate verso l’UDC, chi sostiene ora il PS?

Sono tendenzialmente i salariati delle classi medie. Anche se i suoi risultati sono peggiorati rispetto a quarant’anni fa, il sostegno di queste classi medie ha permesso al PS di conservare la sua importanza. E il PS resta un partito di salariate e salariati. Sono infatti pochi gli indipendenti e i padroni che votano PS.

Ma una parte dell’elettorato del PS non si è anche orientata più a sinistra?

Non dispongo di dati sufficienti sui partiti di estrema sinistra per analizzare questo aspetto, ma è pensabile che una certa parte si sia rivolta a loro, nei cantoni in cui sono presenti.

Sono i partiti politici ad aver cambiato, o è stato piuttosto l’elettorato?

È pensabile che l’elettorato abbia spostato un po’ le proprie preferenze, ma secondo me a cambiare è stata più che altro l’offerta dei partiti. Negli anni ’70, i cavalli di battaglia del PS erano soprattutto legati al mondo del lavoro. Negli anni ’80, il clima sociale era ancora abbastanza mite, ma affioravano progressivamente nuove tematiche: il movimento post-materialista, ecologista, contrari al nucleare ecc. Il partito dei Verdi è così divenuto un concorrente del PS, con un impatto già sulle elezioni del 1987 e del 1991. Poi vi è stata la diffusione delle idee neoliberali, che hanno suscitato soprattutto la ribellione dei sindacati, mentre il mondo del lavoro è viepiù scomparso dall’agenda politica degli anni ’90 e 2000 e i partiti hanno affrontato altri argomenti.

Anche l’UDC è molto cambiata...

Certamente. Dai primi anni ’90, l’UDC ha modificato i suoi obiettivi, concentrandoli sull’Europa e sull’immigrazione, assumendo così una certa voce in capitolo nell’agenda politica svizzera.

Cosa pensa lei dei sondaggi?

In Svizzera, la gente ammette senza problemi che voterà per l’UDC, per cui non vi è un grande margine di errore. In Francia, invece, spesso gli interrogati non dicono che intendono votare per il Front National, per cui i sondaggi sovente sottostimano il risultato di questo partito di estrema destra.

Ma le classi operaie ritrovano valori comuni in seno all’UDC?

Nel periodo che ho esaminato, la classe operaia si è sempre dimostrata la più favorevole alla ripartizione della ricchezza e a una politica di ridistribuzione. D’altro canto, è invece molto scettica nei confronti di una politica aperta in tema di migrazione. Nel 1970, molti hanno sostenuto l’iniziativa Schwarzenbach, nonostante votassero PS. Da questo punto di vista, possiamo affermare che i valori di queste classi sociali sono rimasti nel loro complesso stabili.

Ma questo quali conseguenze può avere sulle votazioni?

Io ho esaminato solo i dati inerenti le elezioni federali. A livello scientifico, non sappiamo molto sui legami tra votazioni ed elezioni.

E a livello di elezioni cantonali?

Non ho esaminato nemmeno le elezioni cantonali, ma nel mio studio ho ravvisato differenze tra i cantoni svizzero-tedeschi con religioni miste (come Berna e Zurigo, per esempio), i cantoni romandi misti (come Vaud e Neuchâtel) e i cantoni cattolici (come per esempio il Ticino). Il sostegno al PS più marcato viene dai cantoni romandi con religioni miste, seguiti da quelli misti della Svizzera tedesca e infine dai cantoni cattolici, dove tradizionalmente vi è una più forte concorrenza del PPD.

In quali cantoni l’elettorato operaio ha abbandonato in maggior misura il PS?

Questo spostamento si è verificato soprattutto in Svizzera tedesca, dove vi è stata una forte crescita dell’UDC e in Ticino, con l’avvento della Lega, mentre è stato meno marcato in Romandia.

Qual è il profilo dell’elettorato rimasto fedele al PS?

Abbiamo constatato che un fattore determinante è l’appartenenza ad un sindacato, i cui valori di solidarietà sono spesso ancora associati alla sinistra. Di fronte alle forze xenofobe, i sindacati fanno un discorso chiaro e coerente di solidarietà tra i salariati, indipendentemente dalla loro origine e nazionalità. Essi ribadiscono il principio secondo il quale la solidarietà tra salariati sia l’unica via per migliorare le condizioni di lavoro. Inoltre, le persone sindacalizzate partecipano in maggior misura alle elezioni, in quanto la loro appartenenza al sindacato rafforza il loro interesse per le questioni politiche e i loro ideali di solidarietà. Lavoratrici e lavoratori sindacalizzati affrontano le questioni assieme, organizzano assemblee e sono informati dal loro sindacato.

E come si spiega l’astensionismo?

Già negli anni ’70, le classi operaie e popolari partecipavano in misura minore alle elezioni rispetto alle altre categorie e ai datori di lavoro. Il fatto che gli operai votassero raramente è sempre stata una caratteristica svizzera, che si è poi progressivamente estesa al resto dell’Europa dalla fine degli anni ’80, con l’avvento e l’espansione della destra dura un po’ ovunque.

A livello federale, abbiamo poi una parte importante della popolazione che non dispone del diritto di voto.

Si, un quinto della popolazione non è di nazionalità svizzera e non può quindi votare. Queste persone sono in gran parte delle classi popolari. Anche questa è una particolarità del nostro paese.

Pensa di svolgere altre ricerche su questi argomenti?

Un tema che vorrei affrontare è proprio la relazione tra essere sindacalizzati e comportamento elettorale.

Henriette Schaffter

Il libro: «Partis socialistes et classe ouvrière» è stato pubblicato nelle edizioni Alphil-Presses universitaires suisses nel 2015.

Vedasi anche: Line Rennwald & Adrian Zimmermann (2016), «Le vote ouvrier en Suisse», 1971-2011. Social Change in Switzerland N°4 (http://socialchangeswitzerland.ch).

BIO

Line Rennwald ha 32 anni e, quando non è all’estero, abita a Delémont. In effetti è appena rientrata da un soggiorno di un anno e mezzo ad Amsterdam (per il quale ha beneficiato di una borsa del fondo nazionale per la ricerca) e ripartirà in settembre alla volta di Firenze, dove rimarrà due anni all’istituto universitario europeo.

In questi mesi, lavora a tempo parziale all’università di Losanna, quale ricercatrice.

Line ha conseguito il dottorato in scienze politiche all’università di Ginevra e ha lavorato per un anno al Partito socialista a Berna, in occasione della campagna per le elezioni federali del 2007. È iscritta ai sindacati Unia e VPOD.

Convive e, nel tempo libero, pratica il badminton a Courrendlin, suo villaggio natale.

Line Rennwald a casa sua, in prossimità della stazione di Delémont.

Commenti

  • Peter Vögeli

    Peter Vögeli 22/02/2019 11:01:16

    Was bedeudeutet "Arbeiterschaftin" ? Es heisst "DIE Arbeiterschaft". Das Substantiv ist ja schon feminin.