Corte europea
Una sentenza avalla il dumping salariale
Con la revisione della direttiva europea sui lavoratori distaccati del 28 giugno 2018 si sperava che la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) prendesse una piega più favorevole ai lavoratori in situazione di distacco. Ma la sentenza del 19 dicembre 2019 sulla società ungherese di catering ferroviario «Henry am Zug» dimostra che la CGUE continua a pronunciarsi tendenzialmente contro la tutela dei salari e a favore della «libertà di prestazione dei servizi» delle imprese.
La fattispecie riguarda i servizi di catering nei treni delle Österreichische Bundesbahnen. Nel 2012 le ÖBB avevano esternalizzato la ristorazione ad una società austriaca (Do & Co), la quale aveva a sua volta aggiudicato parte del contratto a una sua affiliata ungherese (Henry am Zug Hungary). Tra il 2012 e il 2016 quest’ultima aveva fornito i propri servizi sui treni ÖBB che collegavano Salisburgo (Austria) e Monaco (Germania) con Budapest (Ungheria) come stazione di partenza o di arrivo. La maggior parte del personale impiegato su questi treni proveniva da un’agenzia di lavoro temporaneo ungherese, i restanti collaboratori erano impiegati direttamente da Henry am Zug Hungary. «Tutta (...) la forza lavoro era residente e assicurata in Ungheria e aveva qui il proprio centro di interessi», così si legge nella sentenza della Corte di giustizia. «Inoltre, iniziava e terminava il servizio in Ungheria. A Budapest doveva portare fuori le merci immagazzinate, cioè alimenti e bevande, e caricarle sui treni. A Budapest doveva anche controllare le riserve di merce ed effettuare i conteggi delle vendite. Pertanto, tutte (...) le attività, ad eccezione di quelle da espletare sui treni, venivano eseguite in Ungheria». Il sindacato Vida sostiene, invece, che alcuni turni di servizio iniziavano non soltanto a Budapest, ma anche a Salisburgo o Monaco di Baviera, e che le attività logistiche venivano svolte anche a Vienna e Salisburgo. A detta del sindacato, l’attività in Ungheria (carico/scarico e viaggio tra Budapest e il confine) rappresentava solo una piccola parte (circa 2 ore) della durata complessiva del lavoro in una corsa treno. Su talune corse il personale lavorava fino a 72 ore in Austria e in Germania, dunque al di fuori dal territorio ungherese.
Nel 2016, da alcuni controlli salariali effettuati presso la stazione centrale di Vienna emersero diverse irregolarità (secondo il sindacato Vida, Henry am Zug pagava stipendi netti di 500 anziché 1500 euro al mese). Al titolare dell’impresa furono quindi comminate delle multe amministrative, poi confermate dal Tribunale amministrativo di Vienna. Come seconda istanza di appello, la corte amministrativa suprema austriaca chiese una perizia alla CGUE.
Sentenza austriaca cassata
La CGUE ha invalidato la prima sentenza. Henry am Zug non può essere costretta ad osservare le norme salariali austriache, poiché l’impresa fornisce solamente una piccola parte dei servizi in Austria. La direttiva sui lavoratori distaccati non concerne prestazioni come il servizio a bordo, i servizi di pulizia o la ristorazione dei passeggeri su treni internazionali se i dipendenti svolgono una parte sostanziale delle attività ad essi connesse nello Stato da cui sono distaccati e se iniziano e terminano il servizio in tale Stato. Con questa motivazione la CGUE ha convenuto con il procuratore generale che non vi fosse una situazione di distacco. Il procuratore generale ha argomentato che nella fattispecie dei «lavoratori altamente mobili» venissero «distaccati sul territorio del treno» e non in Austria. È del tutto irrilevante dove si trovi il treno in un particolare momento. L’impiegato inizia e termina il turno di lavoro in Ungheria e lì ha il centro dei suoi interessi. In tali casi non vi è alcun collegamento con il territorio austriaco ed è quindi inammissibile limitare la libera prestazione di servizi con disposizioni austriache contro il dumping salariale e sociale.
Flagrante errore di giudizio
La sentenza giudica in modo completamente errato la fattispecie e mostra come, anche dopo la revisione della direttiva sui lavoratori distaccati, la Corte di giustizia dell’Unione europea e il procuratore generale continuino a porre ideologicamente gli interessi dei datori di lavoro al di sopra della tutela dei lavoratori distaccati. Il principio della «stessa retribuzione a parità di lavoro nello stesso luogo» richiederebbe che per il servizio su treni delle ÖBB siano versati salari austriaci, al più tardi dal momento in cui si attraversa il confine austriaco. Il fatto che la merce sia in parte caricata e conteggiata a Budapest è irrilevante; la prestazione determinante è fornita in Austria. La sentenza dimostra ancora una volta che la CGUE tende a pronunciarsi contro la protezione dei salari e a favore della «libertà di prestazione dei servizi» per le imprese. Questa giurisprudenza potrebbe avere gravissime conseguenze, poiché la direttiva sui lavoratori distaccati può essere completamente aggirata a seconda della struttura societaria.
Luca Cirigliano e Daniel Lampart, USS/ Fi
Commenti
Stettler Johann 26/02/2020 07:26:47
das sagt mir ganz klar, das mir gegen das Rahmenabkommen mit der EU und vor allem für die Begrenzungs-Initiative stimmen müssen.
Sonst gute Nacht Schweiz
Anmerkung Redaktion SEV:
Ja, das Rahmenabkommen in der vorliegenden Form gefährdet den Schweizer Lohnschutz, wenn ihn der EuGH aushebeln kann, und ist daher zu überarbeiten.
Jedoch zur Begrenzungs- bzw. Kündigungs-Initiative (sie fordert ja die Kündigung der Personenfreizügigkeit und stellt damit die Bilateralen Verträge in Frage) empfiehlt die SEV-Leitung wie der Schweizerische Gewerkschaftsbund ein Nein, denn sie schafft den wirksamen Lohnschutz der Flankierenden Massnahmen ab und führt zu erheblichen Problemen vor allem auch wirtschaftlicher Art.