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Cementificio holcim

I guardiani della collina

La notte tra il 16 e il 17 ottobre diversi attivisti hanno preso possesso dei terreni dell’impresa cementifera Holcim sulla collina del Mormont. L’obiettivo è quello di bloccare l’estensione di una cava che distruggerebbe un’importante zona naturale. Ma l’occupazione è anche un mezzo per concretizzare gli ideali di questi giovani traditi da una politica e un’economia che poco fanno per combattere gli effetti del cambiamento climatico. Siamo andati ad incontrarli.

Un enorme complesso industriale. Un’alta ciminiera fumante e varie torri grigie. Inutile dirlo, tutto è in cemento. A caratteri cubitali, ecco lo slogan: «Il vostro partner regionale per una costruzione sostenibile». Siamo a Eclépens, villaggio del Canton Vaud a metà strada tra Losanna e Yverdon, di fronte ad uno dei più grandi cementifici della Svizzera: attivo dal 1953, produce 800.000 tonnellate all’anno ed è di proprietà della Holcim (Suisse) Sa, filiale del numero uno al mondo del cemento, la multinazionale Lafarge-Holcim basata a Zugo. La fabbrica è situata in una zona strategica, tra una cava di marna a sud e una di calcare a nord. Bruciati in un forno a 1450°, marna e calcare diventano appunto cemento, il legante che fungerà poi da base al calcestruzzo. La cava di calcare sta proprio alle spalle del sito industriale: è un cratere enorme, suddiviso in terrazzi sui quali s’intravedono, minuscoli, camion e scavatori. Lo sfruttamento di questa cava sta arrivando al termine. Ma Holcim ha già ottenuto l’autorizzazione ad andare avanti, dall’altra parte della collina, in territorio di La Sarraz. È lì, sui terreni di proprietà della stessa azienda, che a metà ottobre, un gruppo di attivisti ha preso possesso del luogo e instaurato la prima Zone à défendre (Zad) della Svizzera. Ed è lì che siamo diretti.

Orchidee contro cemento

Ad attenderci all’entrata della zona occupata vi è Pico*, membro del collettivo Orchidées in riferimento alle orchidee selvatiche che crescono in questa zona. «Benvenuti, siamo qui perché vogliamo proteggere il Mormont e combattere contro l’utilizzo indiscriminato delle risorse naturali» ci spiega il giovane che va dritto al punto: «Di fronte alla lentezza della giustizia e all’assenza di leggi che difendano realmente la natura, non ci resta che occupare». L’estensione della cava è in effetti oggetto di un ricorso al tribunale federale depositato da Pro Natura, Helvetia Nostra e da cinque cittadini. La decisione è attesa per l’inizio del prossimo anno. Nel frattempo, precari ma ben preparati, gli “zadisti” si apprestano a passare qui tutto l’inverno. Pico ci guida fino al centro del territorio occupato: qui, attorno a una vecchia casa abbandonata, un ragazzo e una ragazza stanno preparando da mangiare per tutti. Il menu, rigorosamente vegano, è quasi pronto e noi che abbiamo già mangiato ne approfittiamo per fare un giro con altre due militanti, Pourpre e Epi*. «Ci opponiamo alla distruzione della collina e dei suoi ecosistemi» ci dice Pourpre, una ragazza attiva in vari movimenti di protesta a salvaguardia del clima, mentre ci guida attraverso iurte e installazioni costruite sugli alberi.

Ma non è meglio, chiediamo un po’ provocatoriamente, produrre cemento in Svizzera, con del materiale locale, anziché importarlo dall’estero, dove gli standard ambientali e lavorativi sono peggiori? «Questo argomento è quello usato dalla stessa Holcim e significa semplicemente respingere la responsabilità, geograficamente e temporalmente dato che la nuova cava sarà sfruttata in soli sette anni» ci spiega la militante. La sua “collega” aggiunge: «Vogliamo mettere in discussione l’impatto ambientale dell’estrazione di queste rocce per produrre cemento. Ne abbiamo davvero così bisogno?» Una risposta non l’abbiamo. Quello che è certo è che l’industria del cemento è responsabile del 5-6% delle emissioni globali di CO₂. In Svizzera, cinque cementifici sono tra i primi sei nella classifica dei più grandi emettitori di gas serra. Tre di loro, compreso quello di Eclépens, appartengono a Holcim.

Nel frattempo raggiungiamo il punto più alto del perimetro occupato e ci affacciamo alla cava: da qui possiamo vedere la reale ampiezza del cratere e il viavai di camion verso la fabbrica a valle. Poco dopo, alcune jeep con dei lampeggianti vengono verso di noi. Gli addetti della Holcim ci dicono che è previsto lo scoppio di una mina e che dobbiamo ritirarci al coperto. Al riparo sentiamo lo scoppio e percepiamo una forte vibrazione sotto i nostri piedi. «Sei fortunato» ci dicono: «Di esplosioni ce ne sono solo cento all’anno.

Il peso dell’industria

Ispirata a quanto già avvenuto in Germania e Francia, la Zad di La Sarraz è una prima in Svizzera. Un luogo dove utopia e concretezza sono fianco a fianco. Anche per questo la presenza degli attivisti è accolta positivamente da buona parte della popolazione: «Ci rendono visita e ci portano cibo e materiale e ci hanno enormemente aiutato» ci racconta ancora Pourpre.

Ma non tutti hanno accolto il loro arrivo in modo favorevole. La Holcim, che inizialmente non si era mossa, ha depositato una denuncia: «Holcim prende sul serio le preoccupazioni degli attivisti. Allo stesso tempo, la situazione attuale è illegale e quindi inaccettabile. Per questo motivo Holcim ha presentato una denuncia» ci conferma per email un portavoce del gruppo, elencando tutta una serie di misure prese in favore dell’ambiente. Il sindaco di La Sarraz e deputato al Gran Consiglio vodese per il Plr, Daniel Develey ha depositato un’interrogazione con cui chiede al Governo se saranno prese delle misure «per sloggiare i membri del collettivo installati sul terreno appartenente a Holcim». Anche il sindaco di Eclépens, Claude Dutoit è contrario alla presenza degli attivisti. La Holcim storicamente è un importante datore di lavoro che ha contribuito allo sviluppo economico della regione. La realtà, da un punto di vista lavorativo, ma anche fiscale, è oggi diversa. La sede della casa madre è in Svizzera interna e la società paga soltanto un’imposta per ogni metro cubo di roccia estratto: si stima che l’impatto sia soltanto di qualche centinaio di migliaia di franchi per due comuni dai budget milionari. Agli attivisti, però, queste cifre importano poco: quello che conta è dare un forte segnale per un’altra economia, più umana ed ecologica. E con meno cemento.

Federico Franchini

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Informazioni ulteriori:

orchidees.noblogs.org

sauvonslemormont.ch