colpi di diritto
Quando il tribunale dà torto
Nemmeno l’assistenza giuridica professionale può garantire di ottenere quella che si presume essere giustizia. Ira e frustrazione non sono mai buone consigliere.
Il nostro collega X lavorava per una filiale delle FFS. Dal 2008, ha avuto diverse divergenze con il datore di lavoro, per piccole mancanze, in parte indipendenti dalla sua volontà. Nel 2010, queste divergenze hanno dapprima portato ad un ammonimento con minaccia di licenziamento e poi alla disdetta del rapporto di lavoro. X quindi ha chiesto l’assistenza giuridica, ottenendo di essere seguito da un legale che ha dapprima tentato di ottenere una conciliazione dal giudice di pace. Questo passo non ha però dato risultati apprezzabili: X ha considerato l’offerta presentatagli dal datore di lavoro come un’offesa e, nonostante il parere del legale, ha mantenuto la convinzione che il tribunale del lavoro avrebbe ripreso i suoi argomenti.
Il SEV ha quindi accettato di portare la causa davanti a questo tribunale, dove il legale ha richiamato il legame tra i rimproveri mossi dal datore di lavoro e quelli di un singolo superiore, che aveva manifestamente trattato il nostro collega in modo scorretto e completamente diverso dagli altri, con i quali X non aveva mai avuto problemi.
Il SEV ha quindi accolto la richiesta di coprire le spese per la procedura di prima istanza, dove si sono fate valere abusi e discriminazioni nei confronti del collega da parte di alcuni superiori, lacune nella conduzione da parte del datore di lavoro, la mancanza di una struttura anti-mobbing e l’assenza di considerazioni attenuanti in vista del licenziamento. Sono pertanto state avanzate richieste materiali basate sul diritto del lavoro e il rilascio di un certificato di lavoro corretto. L’avvocato non era molto convinto dell’opportunità di questo passo, ma è stato d’accordo di non lasciare nulla di intentato.
Il giudice unico non ha però dato alcuno scampo, respingendo le considerazioni sulle cattive condizioni di lavoro, sul comportamento del superiore che rasentava il mobbing, le difficoltà in azienda, sull’obbligo di assistenza e sulla veridicità delle affermazioni.
Egli ha per contro fatto valere la libertà di disdetta del datore di lavoro, il cui comportamento non può essere considerato illegale solo in quanto inadeguato. Non vi era quindi neppure la necessità di soppesare i reciproci interessi, né di verificare l’adeguatezza del provvedimento, né il datore di lavoro aveva l’obbligo di sentire prima il dipendente.
Nella fattispecie, ha ritenuto che il lavoratore non avesse rispettato le direttive del datore di lavoro e che le sue indicazioni risultavano contraddittorie, permettendo di accertare l’infrazione delle direttive che non può essere scusata adducendo motivi individuali. La richiesta di un’indennizzo è quindi stata respinta in toto.
Il legale ha opposto il fatto che la giurisprudenza riporta anche altre interpretazioni, comprovate da sentenze del Tribunale federale, pur ammettendo che la base legale restrittiva e il margine di apprezzamento del giudice permettevano senz’altro di giungere alle conclusioni espresse.
Anche se vi sono giudici che comunicano in modo totalmente diverso, contrastando i datori di lavoro in caso di comportamenti irriguardosi nei confronti dei lavoratori e proponendo mediazioni interessanti per entrambe le parti, la fattispecie illustra le difficoltà che vi sono per sostenere l’abusività di un licenziamento.
Va anche considerato come il diritto privato dia grande importanza alla libertà di contrarre.
Le richieste, piuttosto elevate, di X , sono quindi state respinte ad eccezione dell’ emissione di un certificato di lavoro migliore.
La delusione di X è stata tale da indurlo, nonostante il sostegno ricevuto, a chiedere le immediate dimissioni dal SEV. Queste ultime sono evidentemente possibili, rispettando però il termine di disdetta ed assumendosi in prima persona le spese legali sostenute dal sindacato.
Assistenza giuridica SEV