Uno dei figli dei sette fratelli Cervi, Adelmo, si racconta. E lancia un appello a favore della giustizia
L’amore si nutre di libertà
Adelmo Cervi è figlio di Verina Castagnetti e Aldo, terzogenito dei sette fratelli Cervi fucilati dai fascisti al poligono di tiro di Reggio Emilia il 28 dicembre del 1943. Adelmo aveva appena compiuto quattro mesi. Nel 2014 ha pubblicato il libro «Io che conosco il tuo cuore, storia di un padre partigiano raccontata dal figlio» (edizioni Piemme). L’Unione sindacale svizzera Ticino e Moesa ha invitato l’autore a Lugano. Cervi ci ha regalato fortissime emozioni e ha ribadito l’importanza della memoria. Perché una società senza memoria, è una società tremendamente arida. La storia di Adelmo Cervi è una storia vera. «Talmente vera – come ha sottolineato l’editore – che sembra un romanzo.
La quarta di copertina rende benissimo, nella sua densità introduttiva, la storia di Adelmo Cervi: «Un ex-ragazzo di oggi, figlio di un padre strappato alla vita, racconta quel padre, Aldo, partigiano con i suoi sei fratelli nella banda Cervi, per rivendicare la sua storia e, al tempo stesso, per rivendicare di essere figlio di un uomo, non di un mito pietrificato dal tempo e dalle ideologie. Una vicenda straordinaria racchiusa tra due fotografie. La prima, degli anni Trenta: una grande famiglia riunita, contadini della pianura, sette fratelli, tutti con il vestito buono, insieme alle sorelle e ai genitori. La seconda, due anni dopo la fucilazione dei sette fratelli: solo vedove e bambini, indifesi di fronte alle durezze del periodo, alla miseria, ai debiti, anche alle maldicenze. Adelmo è seduto sulle ginocchia del nonno, in faccia l’espressione di chi è sopravvissuto a una tempesta. O a un naufragio. C’è tutto un mondo da raccontare in mezzo a quelle due foto, con la voce di un bambino che ha imparato a cullarsi da solo, perché suo padre è morto troppo presto e sua madre ora è china sui campi. Questa è una storia vera, talmente vera che sembra un romanzo. Il romanzo d’amore di chi sa bene che l’amore si nutre di libertà».
Adelmo Cervi lo abbiamo incontrato giovedì 13 aprile al Canvetto, invitato dall’Unione sindacale svizzera Ticino e Moesa. Un uomo ruvido in volto, ma di una dolcezza e di un’umanità straordinaria.
Il suo racconto è fluido, nitido, senza esitazioni. Adelmo Cervi è un fiume in piena e la parola più pronunciata durante la serata è stata «ingiustizia». Quell’ingiustizia contro cui si è battuto suo padre e tutta la sua famiglia. «Mio padre e i miei zii – spiega Adelmo Cervi – hanno fatto una scelta ben precisa, una scelta di giustizia. Ma non sono eroi. Faccio fatica ad accettare che la gente parli dei fratelli Cervi come un esempio o un mito, hanno solo lottato come avrebbero dovuto fare tutti gli altri». La militanza antifascista della famiglia Cervi comincia quando Aldo, 29 anni, va a militare e finisce in galera. «La galera è stata per mio padre – ricorda Adelmo – una sorta di università, dove ha imparato molte cose. Bisogna ricordare che la nostra era una famiglia di contadini e non c’erano mezzi per studiare». Aldo Cervi scopre quindi in prigione la rivoluzione d’ottobre, conosce esponenti comunisti e ne abbraccia la filosofia, benché di famiglia profondamente cattolica. «Mio padre – continua Adelmo – ha unito gli ideali del Vangelo a quelli di fratellanza e solidarietà espressi dal comunismo e ha trasformato quella che era una semplice famiglia di contadini antifascisti, senza alcuna ideologia socialista, in una famiglia militante, convinta che il mondo può essere cambiato in meglio».
Per Adelmo Cervi suo padre ha sempre 34 anni, gli anni che aveva quando è stato fucilato insieme ai suo fratelli. Adelmo, che durante la serata si è soffermato su una fotografia di famiglia, ha avuto parole tenere anche per la nonna. «Mia nonna, dopo il massacro dei suoi sette figli, ha dovuto tenersi dentro tutto. C’erano undici nipoti di cui occuparsi e una terra da lavorare, affidata prima alle cure e alle robuste braccia di sette uomini. Ci hanno bruciato la casa tre volte. Alla fine la nonna se ne è andata per il troppo dolore».
Adelmo ha infine lanciato un appello ai giovani, che sono il nostro futuro e che vanno stimolati attraverso sentimenti di umanità e solidarietà: «Spetta a loro descrivere il mondo nuovo e costruire quello futuro in conformità a valori importanti. Chi ha perso la vita per valori importanti come la giustizia dovrà essere sempre rispettato. Non con monumenti o medaglie, ma attraverso l’esaltazione dei valori umani».
Françoise Gehring
I sette fratelli Cervi – ossia Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore, erano i figli di Alcide Cervi e Genoeffa Cocconi. Appartenevano a una famiglia di contadini con radicati sentimenti antifascisti. Dotati di forti convincimenti democratici, presero attivamente parte alla Resistenza e presi prigionieri, furono torturati e poi fucilati dai fascisti il 28 dicembre 1943 nel poligono di tiro di Reggio Emilia. La loro storia è stata raccontata, fra gli altri, dal padre Alcide Cervi e dal figlio di Aldo, Adelmo.