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Lucie Waser: «Con le attuali maggioranze politiche, c’è ben poco da fare»

Parità a passo di lumaca

Un’analisi salariale interna a intervalli di quattro anni, verificata da un ufficio di revisione esterno chiamato a far rapporto alla direzione aziendale. Questo la decisione del Consiglio federale per le imprese con almeno 50 impiegati. Per i sindacati la proposta manca di coraggio. Meglio di niente, comunque.

Donne USS in pista (Lucie Waser è la terza donna da sinistra)

A trentacinque anni dall’iscrizione della parità salariale nella Costituzione federale, questo principio non è ancora stato tradotto nella realtà. Infatti persiste un’inspiegabile disparità salariale tra i sessi. Le misure volontarie, quali ad esempio il progetto «Dialogo sulla parità salariale», non hanno avuto gli effetti sperati.

Ecco perché, nel novembre del 2015, il Consiglio federale ha posto in consultazione una modifica della legge sulla parità tra i sessi (LPar), proponendo di imporre ai datori di lavoro con almeno 50 impiegati di procedere a un’analisi salariale da sottoporre poi alla verifica di un ufficio esterno. In alternativa è stato prospettato l’obbligo di segnalare a un ente statale i datori di lavoro inadempienti e a inserirli in un elenco accessibile al pubblico. L’esito della consultazione ha mostrato che circa la metà degli interpellati è a favore di misure statali, mentre l’altra metà respinge l’obbligo di un’analisi salariale per le imprese. Non manca forse di coraggio questa proposta? Lo abbiamo chiesto a Lucie Waser, responsabile delle pari opportunità al SEV

contatto.sev: In occasione della consultazione, le organizzazioni femminili hanno denunciato una riforma troppo timida. Come giudichi la proposta del Consiglio federale?

Lucie Waser: Al momento non vedo politicamente altra scelta se non quella compiuta dal Consiglio federale. Mi piace? Certo che no! Ma considerando gli attuali rapporti di potere a livello politico, le donne dei sindacarti sono chiamate a dare prova di realismo, anche se chiediamo ovviamente molto di più. Si tratta comunque di un piccolo passo nella giusta direzione. Non si resta sul posto e soprattutto non si va indietro. E’ già qualche cosa e in ogni caso un mini avanzamento verso la parità di genere in Svizzera.

Qual è l’aspetto più problematico della revisione della legge?

Ritengo che il controllo su base volontaria applicato alle aziende con meno di 50 dipendenti, sia altamente problematico. A peggiorare le cose è che le grandi aziende vengono invitate E ciò che è peggio è che le grandi aziende vengono solo «invitate» ad agire. Tutto, naturalmente, senza il controllo e alcuna sanzione possibile da parte della Confederazione. L’unica consolazione è che il Consiglio federale fa riferimento al metodo ufficiale del controllo dei salari e che l’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo è disponibile per un accompagnamento. La fase di progetto con Logib ha chiaramente dimostrato che in Svizzera non si raggiungerà la parità su base volontaria. La consigliera federale Simonetta Sommaruga ne è consapevole. Ma se vogliamo davvero un cambiamento, occorre cambiare gli equilibri politici. Non ci sono altre vie. Alle prossime elezioni ricordiamo di eleggere quelle persone che si battono per le pari opportunità e la giustizia sociale.

Quali azioni le donne dell’USS intraprenderanno per denunciare tale situazione?

Il primo novembre ci siamo incontrate per capire come procedere. Saprò dirvi di più, più in là. Ma certo non staremo con le mani in mano e qualche idea per la prossima sessione invernale ce l’abbiamo e la momento giusto comunicheremo.

Nei trasporti pubblici qual è la situazione a livello di parità salariale?

Se confrontata con altri settori, nell’ambito dei trasporti pubblici la situazione non è male. Perché? Perché abbiamo dei contratti collettivi di lavoro o dei contratti aziendali, che non tutelano solo noi donne. Tuttavia la presenza di contratti non è necessariamente garanzia di parità salariale, anche se fissano le condizioni per il raggiungimento di tale obiettivo. Senza protezioni ben codificate i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici non potrebbero in ogni caso essere migliorati. Ci sono aziende ferroviarie che vedono la parità salariale e i controlli regolari dei salari, come parte di una gestione di qualità, perché hanno capito che è un modo per essere attrattive sul mercato. Coloro che vogliono il meglio, non possono fare a meno delle donne. Chi vuole essere attrattivo per le migliori teste sul mercato, in futuro può vincere la concorrenza offrendo condizioni di lavoro basate sull’equità. Le aziende che riescono portare a bordo le migliori donne e i migliori uomini, navigheranno nel mare della concorrenza senza alcuna paura della concorrenza. Ci sono aziende che hanno già capito il valore aggiunto della parità e si sono organizzate di conseguenza.

Françoise Gehring

 

Gender Gap: Svizzera declassata

La Svizzera perde tre ranghi nel rapporto del Forum economico mondiale (WEF) sul divario tra uomo e donna, soprattutto a causa delle opportunità economiche, piazzandosi all’undicesimo posto. A livello globale la parità tra i sessi non dovrebbe essere raggiunta prima del 2186.

L’Islanda si colloca in prima posizione, seguita da Finlandia, Norvegia e Svezia. Ma diversi paesi potrebbero superare quelli nordici, afferma il WEF nel suo ultimo rapporto pubblicato oggi a Ginevra in cui sono stati passati alla lente 144 nazioni. Difatti il Ruanda si piazza al quinto rango davanti all’Irlanda; seguono Filippine, Slovenia, Nuova Zelanda e Nicaragua.

In Svizzera lo scarto tra i sessi è considerato colmato al 77%, due punti percentuali in meno del 2015. In dettaglio la Confederazione figura al 15esimo posto per l’emancipazione politica (+3) e al 30esimo per le opportunità economiche (-13), ma è solo 61esima in materia di educazione (+8) e solamente 72esima (+2) per la salute.

A livello mondiale le donne guadagnano poco più della metà degli uomini, nonostante un numero maggiore di ore di lavoro remunerato o no. Il tasso di persone attive si attesta al 54% per le donne e all’81% per gli uomini. E ai piani alti le donne restano poche. La parità salariale tra parlamentari, alti quadri e dirigenti è realtà soltanto in quattro paesi. Ciò sebbene il numero di donne diplomate all’università è uguale o superiore a quello degli uomini in quasi cento paesi. Dopo che nel 2013 era stato raggiunto un livello record, ora il fossato tra uomo e donna in ambito economico - 59% - è il più alto dal 2008. L’emancipazione politica resta l’indicatore con le differenze più importanti. Solo due paesi ha raggiunto l’uguaglianza in parlamento e quattro in governo.