Il buco delle casse pensioni deve essere colmato da chi l'ha scavato
La sociàlità non è un tiro al bersaglio
No al furto delle rendite! Questo chiaro appello è stato lanciato dall’USS Ticino e Moesa in vista della votazione federale del prossimo 7 marzo. Unitamente alle altre forze progressiste e sindacali, anche il SEV si è schierato contro quello che si profila come un attacco allo Stato sociale.
Quando la bolla finanziaria è scoppiata e i venti burrascosi della crisi finanziaria hanno cominciato a fare tremare i pilastri dell’Olimpo finanziario, la Svizzera si è subito data da fare e ha rapidamente racimolato 68 miliardi di franchi per tamponare le perdite dell’UBS.
Le perdite delle casse pensioni vengono invece scaricate interamente sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici. Una visione del mondo perlomeno distorta, oltre che palesemente ingiusta e profondamente discriminatoria, che deve essere contrastata con estrema decisione e con una grande mobilitazione.
Un no chiaro il 7 marzo
Il prossimo 7 marzo 2010 elettori ed elettrici saranno chiamati a pronunciarsi sulla riduzione del tasso di conversione della previdenza professionale (Secondo Pilastro). Il Parlamento ha deciso questa riduzione nel mese di dicembre 2008. Concretamente che cosa comporta la riduzione del tasso di conversione? Comporta che per gli oltre 3,5 milioni di lavoratrici e lavoratori affiliati ad una cassa pensioni i tagli alle rendite si traducono in una perdita di decine di migliaia di franchi pro capite.
Uno scenario inaccettabile per le forze di sinistra, le associazioni consumeriste e il movimento sindacale – tra cui il SEV – che si sono schierate a fianco di UNIA, il sindacato che ha lanciato con notevole successo il referendum contro questa manovra, raccogliendo oltre 200 000 firme. Il popolo svizzero avrà così l’ultima parola su questo grave peggioramento delle rendite.
Il risanamento delle casse pensioni
E il tema della cassa pensione è uno di quelli che pesa – e pesa molto – sulle sfide sindacali del SEV. Il nostro sindacato non ci sta a fare pagare ai/alle dipendenti e ai/alle pensionate, gli errori di gestione delle casse pensioni. Si batte, in particolare per ottenere dalla Confederazione i 3,4 miliardi di franchi dovuti per risanare la Cassa pensione delle FFS, che versa in gravi difficoltà. La somma di 1,148 miliardi prevista dal Consiglio federale è ampiamente insufficiente come contributo di risanamento.
Il SEV non avanza richieste folli, non chiede né regali, né privilegi. Chiede – questo sì – parità di trattamento con l’amministrazione federale e le ex regie federali (per esempio Swisscom, Ruag). «Questo buco è la conseguenza delle lacune del rifinanziamento deciso negli anni ’90» – aveva dichiarato il presidente del SEV Giorgio Tuti, in occasione della manifestazione del SEV il 19 novembre 2009 a Berna. Da allora, la cassa pensioni FFS è confrontata con una situazione di crescente sottocopertura, mentre per alcune aziende affiliate all’ASCOOP (cassa pensione delle aziende di trasporto concessionarie) vi è persino da temere che il risanamento dell’istituto di previdenza metta a repentaglio la loro stessa sopravvivenza. «A rimetterci – aveva sottolineato Tuti – sono una volta ancora i dipendenti attivi del trasporto pubblico, chiamati a versare contributi di risanamento e a lavorare più a lungo per poi ricevere rendite inferiori e i pensionati che, contrariamente alle promesse fatte a suo tempo, da anni non ricevono più alcuna compensazione del rincaro.»
La questione del risanamento non concerne, appunto, solo il gigante FFS, ma anche le imprese di trasporto concessionarie affiliate alla ASCOOP: si tratta, generalmente, di aziende di trasporto piccole che difficilmente potranno risolvere il loro problema previdenziale senza un aiuto supplementare da parte della Confederazione come contributo di risanamento. Senza aiuti, il futuro di numerose aziende rischia di essere letteralmente compromesso mentre per altre il rischio di vedere ipotecata la propria capacità concorrenziale è molto elevato.
Duro attacco allo Stato sociale
Il SEV chiama pertanto alla cassa autori e responsabili degli errori: il buco delle casse pensioni deve essere colmato da coloro che l’hanno scavato. La battaglia sulla cassa pensione va tuttavia inserita in un contesto più ampio. L’anno appena iniziato rischia infatti di tradursi in un vero e proprio assalto allo Stato sociale. «I segnali – osserva il presidente del SEV – parlano di tagli delle istituzioni sociali e dei finanziamenti al trasporto. Questa isteria da risparmio genera ulteriori pressioni sul personale, per cui il SEV dovrà agire.»
Con il preteso di attuare importanti riforme e procedere ad indispensabili economie, la destra si appresta infatti ad affilare le armi per tagliare le maglie della sicurezza sociale. Archiviata l’11.esima revisione dell’AVS, già si prospetta una correzione verso l’alto dell’età pensionabile (66, 67 o 68 anni) e una riduzione delle rendite. Nulla di rassicurante neppure per l’AI: il Consiglio federale ha infatti già messo in cantiere la sesta revisione.
Mentre continuano a crescere i costi della salute che gravano come macigni sulle economie domestiche, il mercato del lavoro è sempre meno accessibile, il nostro secondo pilastro è sempre più fragile e il divario tra ricchi e poveri non cessa di acuirsi. Le persone non sono né merci, né pedine da spostare alla cieca sullo scacchiere dei giochi azzardati del profitto e delle logiche di risparmio a senso unico. Per le forze progressiste la scadenza del 7 marzo rappresenta indubbiamente un banco di prova.
Votazione federale del 7 marzo
La riduzione delle rendite colpisce tutti
Per le forze progressiste e sindacali il prossimo appuntamento con le urne, il 7 marzo, sarà un banco di prova importantissimo. Si tratta di difendere, in un clima di smantellamento, uno dei pilastri dello Stato sociale.
Negli ultimi anni le rendite dei lavoratori sono già state abbassate a più riprese. Nel 2003, è stato deciso di ridurre il tasso di conversione per il calcolo della rendita progressivamente entro il 2014 dal 7,2% al 6,8% in seguito all’invecchiamento demografico. Insomma, per ogni 100 mila franchi di capitale si avrà diritto non più a 7200 franchi, ma a 6800 franchi di rendita l’anno.
Finora a un lavoratore che percepiva un salario medio di 6000 franchi al mese, dopo 40 anni di contributi, si prometteva una rendita LPP pari a 3300 franchi mensili. Secondo i piani di smantellamento dei politici borghesi, in futuro questo lavoratore riceverebbe soltanto ancora 2000 franchi al mese!
La proposta di ridurre il tasso di conversione, in votazione il prossimo 7 marzo, rischia pertanto di colpire tutti:
– le persone con un reddito medio o basso, assicurate solo sulla base delle prescrizioni minime LPP, hanno bisogno della rendita mensile per far fronte alle loro esigenze quotidiane. La riduzione delle rendite non deve ridurre ulteriormente il loro potere d’acquisto;
– normalmente le persone con un reddito medio o superiore beneficiano di una copertura assicurativa superiore al minimo legale. Dato che il tasso d'interesse minimo e il tasso di conversione non si applicano al regime sovraobbligatorio, in questo settore negli ultimi anni le casse pensioni hanno già operato drastici tagli. Se il tasso di conversione viene ridotto anche nel regime obbligatorio, queste persone dovranno pagare due volte!
– Anche i pensionati hanno buoni motivi per opporsi a quest’ultimo furto delle rendite: se oggi non riusciamo ad impedire la riduzione delle rendite dei futuri pensionati, domani avremo difficoltà a difendere le rendite dell’odierna generazione di pensionati!
Françoise Gehring