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intervista per il primo maggio

«I sindacati devono prendere posizione»

Le forze della Destra populista stanno prendendo il potere in tutto il mondo. Pretendono un inasprimento del diritto all’asilo e vedono le loro nazioni minacciate dall’ immigrazione. Anche in Svizzera il tema della migrazione è oggetto di continuo dibattito a livello politico. Lo studioso in scienze sociali Alessandro Pelizzari, direttore della Scuola superiore di Losanna per il lavoro sociale e la salute (HETSL), spiega perché la migrazione è necessaria per la Svizzera e il ruolo che potrebbero assumere i sindacati del futuro.

Alessandro Pelizzari, per molti anni i lavoratori con un passato migratorio hanno contribuito al benessere e alla crescita economica del nostro Paese. E lo fanno ancora oggi: anche nel ramo dei TP circa un terzo dei dipendenti ha una storia di migrazione. Nonostante ciò, sono spesso oggetto di critiche. Come lo spieghi?

Si tratta di una situazione paradossale, che però non è nuova. Da un lato la Svizzera è per sua natura luogo di immigrazione, senza la forza lavoro estera molti settori crollerebbero. Ma la Svizzera vive di migrazione anche fuori del mercato del lavoro: la nostra cultura, la gastronomia, lo sport dipendono da competenze «importate». Dobbiamo continuare a ribadirlo – la migrazione è qualcosa di positivo. E ha fatto crescere il nostro Paese anche sul piano della politica sindacale; grazie alle e ai migranti i sindacati sono diventati più progressisti.

Dall’altro lato, tuttavia, la migrazione viene costantemente strumentalizzata e questo crea tensioni a livello della società. Ma vi è pure la volontà politica di organizzare il mercato del lavoro e lo stato sociale in modo tale che le persone con e senza un passato migratorio siano inevitabilmente in competizione tra loro. Il dumping salariale trova spazio quando non si antepongono tutele efficaci nei confronti dei datori di lavoro. Altrettanto importante è sottolineare che la migrazione non è responsabile per la disoccupazione: di regola i lavoratori si spostano laddove sono richiesti, quando cioè vi è carenza di personale specializzato.

Negli USA, Trump vuol dare un taglio netto all’immigrazione, in Germania l’AFD parla di espellere milioni di persone con un passato migratorio. In Svizzera l’UDC ha presentato l’iniziativa popolare «No a una Svizzera da 10 milioni!». I Paesi vogliono davvero rinunciare alle e ai migranti?

In gioco c’è molta propaganda ipocrita. Di principio sia Trump sia l’AFD, ma anche l’UDC, sanno benissimo che il mercato del lavoro ha bisogno dell’immigrazione. Però non voglio che i migranti abbiano diritti. Si possono espellere brutalmente le persone, ma è impossibile sigillare le frontiere. Di regola i partiti della Destra radicale non se la prendono con i «sans papiers», a condizione che lavorino, stiano zitti e non attirino l’attenzione.

E come si spiega allora tale atteggiamento di chiusura verso i migranti?

Da una parte perché gli esponenti della Destra, con la loro retorica aggressiva, rendono i migranti effettivamente più fragili, influenzando il clima nella società e, alla fine, anche la politica. Sebbene l’UDC non riesca a imporre molte delle iniziative, non da ultimo «grazie» alle sue proposte la politica dell’immigrazione e soprattutto quella relativa all’asilo si sono via via incattivite. Non è certo stato possibile regolare i flussi migratori, ma si è viepiù indebolita la tutela dei migranti. E, dall’altra parte, le Destre riescono in generale a rendere queste persone i capri espiatori delle vere preoccupazioni della gente: ecco allora che sono loro a causare la perdita del potere d’acquisto, la mancanza di alloggi e la crisi del welfare, e non invece i superricchi che non pagano tasse o gli approfittatori.

Parliamo delle condizioni d’impiego. Con l’eliminazione dello statuto di stagionale e altre misure di tipo politico, per le lavoratrici e i lavoratori con un passato migratorio le condizioni sono sempre migliorate. A che punto siamo oggi?

L’introduzione della libera circolazione ha costituito un vero progresso per tutti coloro che subivano lo status di lavoratore stagionale. Questo perché tale situazione li assoggettava a condizioni di lavoro precarie, con salari bassi e ben pochi diritti sociali. La sua soppressione è anche merito dell’impegno dei lavoratori stranieri medesimi, che negli anni Ottanta spinsero i sindacati ad attivarsi finalmente in questo ambito. Con le misure di accompagnamento e la nuova protezione dei salari i sindacati hanno compiuto importanti passi avanti. Ma, come vediamo, oggi questo non è sufficiente. La pressione sui salari è forte, e senza un rafforzamento dei diritti dei lavoratori le cose non andranno bene. Occorre prima di tutto una migliore protezione contro i licenziamenti, che tuteli chi lavora se si oppone ai salari da dumping praticati dalle aziende. Una problematica che è molto meno marcata nelle imprese pubbliche organizzate dal SEV. Ma per principio vale: per lottare contro questi abusi ci vogliono leggi incisive e sindacati forti.

In che modo i sindacati possono diventare più forti?

Devono anche saper condurre conflitti di lavoro e non fissarsi unicamente sui contratti collettivi di lavoro (CCL). Non va dimenticato che la metà della popolazione lavoratrice non è subordinata a un CCL, quindi per loro bisogna pensare a modifiche a livello di legge.

I sindacati dovrebbero diventare più politici?

Sì, per la precisione sotto due aspetti. Politici significa da una parte che i sindacati devono agire con più forza nella definizione delle norme di legge. È vero che lo hanno sempre fatto con successo, pensiamo solo all’adozione delle misure fiancheggiatrici, alla recente vittoria per una 13esima rendita AVS o ai salari minimi in diversi Cantoni. Vi sono però ancora temi nei quali essi sono troppo moderati, ad esempio riguardo alle già citate tutele contro i licenziamenti oppure alla protezione della salute sul posto di lavoro.

E, dall’altra parte, politici significa che oggi, di fronte alla pericolosa deriva a destra, essi devono prendere chiaramente posizione contro l’esclusione e il razzismo. I sindacati sono luoghi di solidarietà, capaci di far sedere allo stesso tavolo persone con le opinioni politiche più disparate e di promuovere la comprensione reciproca.

Solidarietà, non odio: questo sarà anche il motto del prossimo 1° maggio.

Vero, lo trovo fantastico! Mostra anche che solo uniti noi possiamo difenderci contro qualsiasi forma di disuguaglianza e discriminazione.

Chantal Fischer
chantal.fischer@sev-online.ch

Alessandro Pelizzari

Alessandro Pelizzari, 50 anni, è figlio di immigrati italiani e vanta un dottorato in sociologia. Dal 2008 al 2020 è stato segretario regionale del sindacato Unia a Ginevra. Dal 2020 è direttore dell’HETSL.