emergenza sanitaria
«Attrezzi» utili per gestire momenti di crisi
Un gruppo di professionisti si è messo a disposizione del Canton Ticino, suggerendo una simbolica borsa degli attrezzi, per gestire la nuova situazione che si è creata con l’emergenza sanitaria. Quali sono gli attrezzi indispensabili per vivere la quotidianità, tenuto conto che ognuno di noi si porta appresso una storia e un bagaglio di esperienze? Lo abbiamo chiesto a Lorenzo Pezzoli, membro della Task Force ticinese.
Lorenzo Pezzoli (ricercatore, docente, alla SUPSI, psicologo e psicoterapeuta) ha già illustrato nel numero precedente del Giornale SEV (edizione numero 5) quanto l’aspetto mentale e psichico sia importantissimo nel vivere e nel gestire questa emergenza sanitaria, che per certi versi ha sconvolto le nostre vite. Il Gruppo di specialisti ha dunque preparato una breve guida «come una borsa degli attrezzi». «Sta a ciascuno servirsene nel modo migliore pur ricordando - si legge nella presentazione - che non sostituisce in alcun modo un aiuto specialistico; vuole invitare a riflettere e a dirigere meglio i propri pensieri, a orientare le emozioni ma anche a gestire i propri comportamenti». Propone 6 parole chiave: solidarizzare (non siamo soli); contenere (il panico è un cattivo consigliere); distinguere (i fatti dalle credenze, dalle supposizioni, dalle mille opinioni); focalizzare (focalizzarsi esclusivamente su una cosa ne fa aumentare l’importanza e la gravità); arginare (occorre fare ordine in ciò che si sa, in ciò che si fa e in ciò che si pensa); pazientare (abbiamo bisogno di tempo per elaborare quello che sta succedendo). Con il professor Pezzoli facciamo un passo in più, per capire in qualche modo come trovare gli attrezzi dentro di noi, nella nostra valigietta interiore.
Ecco la sua risposta:
«Per usare una metafora possiamo dire che la pandemia ci sta portando ad abitare tre case il cui l’arredo è in parte determinato dalla pandemia ma in parte anche, non va dimenticato, lasciato alla responsabilità di ciascuno di noi. La prima casa, se vogliamo restare in questa metafora, non la scegliamo, le altre due sì. Dentro di esse possiamo essere attivi e determinare in modo significativo il nostro attraversare questo tempo difficile. Partiamo dalla prima dimora nella quale il Coronavirus ci ha precipitati: è quella delle emozioni. L’emozione non è né buona né cattiva in sé, ha una utilità importante a livello di sviluppo, adattamento e sopravvivenza. La parola emozione significa «spostarsi da» ed è proprio questo che fa ogni emozione: ci sposta da dove stiamo perché è importante che ci accorgiamo di qualcosa. Anche la paura dunque è utile perché ci dice che dove siamo corriamo un pericolo. La prima casa che abitiamo è in parte arredata da queste dimensioni emotive come la paura generata dal propagarsi del Coronavirus e dalle conseguenze che sta portando. La prima casa che stiamo considerando è una abitazione che può portarci anche a fare cose inutili, perfino sbagliate, soprattutto se non mettiamo confini alle emozioni e ci abbandoniamo ad esse perdendo il controllo. Questo succede soprattutto quando si pensa di non avere a disposizione le altre due case da abitare di cui accennavo prima delle quali la seconda è quella dell’apprendimento. Una dimora arredata dalle nostre scelte dove si può smettere di riempirsi di cose che ci intossicano, dalle notizie continue che ci precipitano ogni volta nell’angoscia, dai pensieri negativi orientati solo al disfattismo. È la casa della presa di coscienza delle emozioni, della situazione, delle difficoltà ma anche dell’esplorazione delle possibilità. Il luogo dove si lascia andare ciò che non è in nostro potere, ma dove anche ci si appropria di ciò che invece lo è. E poi c’è l’ultima casa di cui, se cerchiamo bene in qualche tasca del nostro vestito, abbiamo le chiavi: è quella della crescita. È incredibile ma anche nei contesti e nelle situazioni difficili, negative, pesanti da sopportare, possediamo queste chiavi. Occorre aprire la porta della casa della crescita dove trovare uno scopo, investire su quello che viviamo ora, piuttosto che proiettarci continuamente sul futuro di cui non sempre abbiamo chiara conoscenza e possibilità; è la casa nella quale si esercita e sperimenta la pazienza, dove si valorizzano le relazioni, con gli altri ma anche con sé stessi. Il luogo in cui ci si occupa anche dei bisogni altrui e, così facendo, si continua ad innaffiare la piantina di umanità che ci abita. Se muore questa davvero corriamo il rischio di perderci».
Françoise Gehring