«fadegrad» è il suo marchio distintivo: Regula Stämpfli sarà ospite alla giornata di formazione delle donne SEV
«Non c’è nulla di giusto nella sua domanda»
Nessuna intervista classica, preferisce esprimersi in forma scritta: «è meglio, più divertente e breve». Ma accetta comunque «un’intervista intelligente» via e-mail. Con qualche provocazione.
Regula Stämpfli, lei si esprimerà nel corso della giornata di formazione delle Donne SEV, con lo slogan «Orgoglio o pregiudizio? – Il ruolo dei generi nel cambiamento». Che cosa deve essere cambiato secondo lei? La società, gli individui o il modo in cui si assume un ruolo?
Regula Stämpfli: in medias res: nessuna idea. Nella sua domanda non c’è nulla di giusto. L’espressione «il ruolo dei generi nel cambiamento» traduce l’idea di un effettivo cambiamento, quindi non c’è un obiettivo fisso. Si sottintende pure che i ruoli di genere sono determinati dalla società, dagli individui e dai rituali. So bene che si tratta di un’opinione generale che porta a discussioni identitarie, le quali occultano completamente tutto ciò che è legato al potere, all’oppressione, alla violenza e alla dominazione. Ritengo che termini come «sesso» o «genere» sono molto difficili da declinare, perché creano categorie (che rimandano alle merci) perfettamente funzionali al sistema capitalista. Si parla per esempio di personale curante invece di infermiera senza rendersi conto che attraverso questa categorizzazione i salari sono stati corretti al ribasso, il tempo di lavoro è stato aumentato e tutto ciò si ripercuote sulle cure prestate ai/alle pazienti.
Potremmo però cominciare in modo diverso. Posso dunque farle qualche domanda? Secondo lei che cosa è importante in materia di parità? Quali sono i pregiudizi che la infastidiscono e quali si confermano? In quanto maschio e persona, in quale direzione intende muoversi nei prossimi vent’anni? Che cosa desidera per i suoi figli? E per i figli degli altri? E per i suoi colleghi maschi? E per le persone che non vogliono essere categorizzate in un solo genere? Potrei continuare…
Su un quotidiano tedesco ho letto un articolo sulle aziende che sono diventate «cool». Ora ci si può presentare al lavoro con i capelli tinti di blu, esibire tatuaggi e piercing. Anche presso Siemens, geniale, no? Ma in realtà si tratta solo di espediente per fare dimenticare ciò che in realtà non è affatto «cool»: salari orari più bassi, diritto di parola e di ascolto negato, sicurezza sul posto di lavoro sempre più rara. Capisce che cosa voglio dire?
Spero di aver capito. Lei è nota per il suo stile offensivo quando rilascia delle interviste, non sono dunque sorpreso. Nelle sue vesti di specialista dei media, sa bene che un’intervista non è una discussione. Ragion per cui non risponderò alle due domande. Perché sono io a farle in questa intervista. Dunque: ho ripreso il termine «genere» dalla presentazione della giornata di formazione delle Donne SEV e nella mia prima domanda sono stato fedele al titolo esatto. Evidentemente sarà libera di esprimersi da un punto di vista politico-filosofico. Mi pare di aver capito che si concentrerà sul termine «genere»? Ammesso che i termini «sesso» e «genere» sono difficili, che cosa suggerisce in alternativa? Non si tratta qui di dissertare sull’aspetto puramente biologico, anche se le critiche sono legate al fatto che ci possono essere più di due generi.
Il mio stile di offensivo? Non ho nemmeno ancora iniziato (ride). Inoltre le domande che le ho posto erano semplicemente un invito a parlare delle questioni che mi interessano come ricercatrice e su cui mi soffermo volentieri. In occasione della giornata di formazione proporrò un viaggio attraverso il groviglio di confusioni di tutti i tipi e formulerò chiare analisi sulla dimensione del potere tra donne e uomini. E lo farò anche avvalendomi delle immagini dei e sui media che illustrano bene questo aspetto. Si tratta di vedere come il mondo ci oppone e come osserviamo questo mondo. Prendiamo per esempio i «cliché». Un cliché potrebbe anche essere divertente, ci sono del resto battute su uomini e donne che fanno ridere. Ma quando vengono ripetute centinaia di volte, non ci rendiamo più conto che veicolano messaggi sessisti o razzisti. Purtroppo questi pregiudizi vengono poi diffusi come dati scientifici. Ci sono del resto numerosi studi scientifici, in particolare nel campo della ricerca sul cervello, che mettono gli uomini e le donne in categorie e «cassetti» impedendo quindi la diversità. Più si dirà che «le donne sono alla ricerca di un genitore e di qualcuno che nutre la famiglia» e che «gli uomini dovrebbero fecondare il più possibile le donne», tutto ciò sembrerà verosimile e probabile, pur sapendo che sono studi maldestri e ben sapendo che le separazioni sono più numerose nelle coppie dove l’uomo non riveste il ruolo tradizionale del capo famiglia. Questa logica in base a cui ciò che viene detto più spesso è vero o sembra vero, è la logica di Google che porta a manifestazioni incredibili di sessismo. Provate a digitare nel motore di ricerca «le donne dovrebbero» e guardate che cosa vi propone Google. Su questo punto Wikipedia è particolarmente deleterio: gli uomini misogini scaricano tutto il loro odio sulle donne celebri. Insomma, ciò che mi interessa nell’esercizio del potere riguarda i meccanismi di dominazione e di esclusione; mi interessa sapere chi fa cosa, verso chi, quando e chi non ne fa parte. E poi mi interessa sapere come queste evidenti ingiustizie possono essere legittimate. E cosa proviene dai fatti e che cosa invece e frutto dell’ideologia.
La sua tesi è quindi la seguente: la visione del mondo e delle relazioni tra i sessi è influenzato e determinato dalla parte maschile, che è predominante. I ruoli potrebbero essere modificati se le donne osservassero loro stesse invece di essere guardate. In questo senso potremmo allora comprendere il titolo del suo libro pubblicato nel 2013 (solo in lingua tedesca) dal titolo «Die Frau der Vermessung»?
La mia tesi è denominata, scientificamente parlando, eteronormatività. Si, lei ha ragione: è proprio lo sguardo degli uomini ad essere sottinteso nel mio titolo ed è interconnesso allo sguardo dell’uomo bianco che domina da secoli. Rivolgiamo, per esempio, lo sguardo all’antichità e in particolare alla democrazia ateniese, in cui il potere del popolo era effettivamente detenuto solo dalla borghesia ed escludeva totalmente gli altri individui, come le donne e gli schiavi relegati nel campo dell’«oikos» [oikos era l’unità di base della società, nella maggior parte delle città-stato greche, e comprendeva il capo dell’oikos (di solito il maschio più anziano), la sua famiglia (moglie e figli), e gli schiavi che vivevano insieme in un ambiente domestico, ndr] e dei lavori di casa. Libertà e uguaglianza sono meccanismi che gli uomini dirigono da secoli e sono spazi che si accordano tra di loro e attorno a loro come vogliono. Questo riguarda anche le donne, così come grandi gruppi di individui che sono classificati in base alla loro origine etnica o alla razza.
Potrei parlare per ore sull’esclusione e sull’inclusione, così come sulla storia della democrazia. Lo sa che cosa c’è di paradossale in questa storia? È che gli uomini bianchi, con le loro promesse di libertà e di uguaglianza e, successivamente, di fraternità cristiana, hanno in fondo presentato un postulato che può portare all’emancipazione degli oppressi. Vado ancora oltre. Fra duecento anni, gli uomini guarderanno la nostra epoca con occhi indignati, nella stessa misura in cui abbiamo guardato con costernazione alla schiavitù del 17esimo secolo negli Stati Uniti o alla nostra relazione con il tema degli animali. Fra duecento anni saranno realizzati dei documentari in cui si mostrerà che gli uomini del 20esimo e del 21esimo secolo trattavano gli animali come merci volgari da asservire.
Torniamo alle donne che hanno sperimentato alcune circostanze inimmaginabili in passato; circostanze che in alcune società si ripetono anche nel presente. Non si tratta solo di una questione del punto di vista femminile, ma di persone che conoscono le mestruazioni. Simone de Beauvoir diceva: l’uomo vede e la donna è vista. Anche le donne dovrebbero vedere. O in altre parole: le persone si vedono attraverso gli occhi degli altri. È tuttavia necessario aggiungere la propria percezione personale e vogliamo plasmare la nostra vita e non diventare solo vittime delle circostanze. Tuttavia questo è più facile a dirsi che a farsi. E posso andare ancora più lontano da una prospettiva filosofica, affermando che lo sguardo di oggi è definito in base ai pixel, dunque in base ad un rapporto cifrato considerato come oggettivo e assoluto da tutti gli esseri umani. Questa è pura ideologia!
Come vede, possiamo discutere in lungo e in largo attorno al binomio vedere o essere visti. Eppure la mia risposta avrebbe potuto essere succinta e avrei potuto dire semplicemente: sì, mi ha capito bene, ha assolutamente ragione! Ma siccome vado in profondità – mettendo in discussione costantemente le mie conoscenze – le mie affermazioni, le mie parole prendono nuove direzioni. Così nascono nuove associazioni di idee, si mettono in relazione altre cose e io estrapolo.
Prolungherei volentieri questa intervista, ma lo spazio sul nostro giornale è limitato mentre le sue risposte sono estese. Le chiedo comunque se desidera formulare un’ultima considerazione, nell’attesa di ascoltarla alla giornata di formazione delle donne SEV.
L’unica cosa che può essere definita ultima, è la morte. La mia battuta preferita? «Le donne che vogliono essere uguali agli uomini mancano davvero di ambizione».
Peter Anliker/frg
* in media res è una locuzione latina che significa entrare nel vivo dell’argomento, senza perdersi in preamboli.