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Il SEV nella seconda guerra mondiale

Contro Hitler, ma non contro il transito

Il fatto che la Svizzera durante la seconda guerra mondiale non sia stata invasa, si deve essenzialmente ai servizi prestati alle potenze dell’Asse, che includevano anche il transito ferroviario. Il SEV non si oppose perché altrimenti si sarebbe isolato politicamente e perché le FFS, finanziariamente indebolite dalla situazione, ne traevano vantaggio.

Il convoglio mitragliato a Rafz il 9 settembre 1944 – cfr. riquadro.

La Germania dal 1940 fornì all’Italia carbone, ferro, acciaio e cereali e dopo l’occupazione nel 1943, il traffico sud-nord aumentò. Su pressione degli alleati, la Svizzera contingentò sempre più il transito, interrompendolo tuttavia solo nel mese di marzo del 1945, come riporta Urban Tscharland nel suo lavoro di licenza del 2002 «Die Eisenbahnergewerkschaften und der Transit der Achsenmächte» (i sindacati dei ferrovieri e il transito delle potenze dell’Asse). Anche quando sempre più carri arrivavano danneggiati o sabotati al confine, le FFS continuavano per quanto possibile a trasportarli, senza troppi scrupoli di natura politica. Non esiste alcuna prova di trasporti di truppe e deportati e nemmeno di armi e munizioni, benché queste ultime non siano da escludere, in quanto i carri venivano controllati raramente. Dal 1941 al 1943 attraversarono la Svizzera ca. 600 treni speciali con a bordo lavoratori italiani, prima in direzione nord e poi di ritorno a partire dall’autunno del 1942. Tra questi nel 1941 vi erano forse dei soldati in civile.

Tscharland ha accertato che il SEV non si oppose mai fondamentalmente al transito, benché lo storico chiarisce che l’allora influente segretario generale del SEV Robert Bratschi (1891–1981) «era sempre molto critico nei confronti della dittatura nazionalsocialista». «All’interno del SEV e dell’ Unione federativa la posizione di potere di Bratschi era talmente forte che l’atteggiamento politico di queste associazioni si allineava a quello di Bratschi.» In effetti Bratschi fu uno degli artefici della fondazione del SEV (in veste di segretario a tempo pieno della VSEA) e nel mese di ottobre 1920 succedette al primo segretario generale del SEV, Emil Düby, deceduto in luglio. Nel 1921 divenne membro del consiglio d’amministrazione delle FFS, nel 1922 presidente dell’Unione federativa del personale delle amministrazioni e delle imprese pubbliche e nel 1934 presidente USS. È stato Consigliere nazionale (PS/BE) dal 1922 e dal 1932 membro del Gran Consiglio del Cantone di Berna. Tscharland cita, quale esempio dell’atteggiamento antifascista di Bratschi, le lettere scritte tra il 1933 e il 1934 alla direzione generale delle FFS e all’allora capo del Dipartimento federale delle poste e delle ferrovie, Marcel Pilet-Golaz. Bratschi chiedeva che il divieto di portare giornali comunisti (che il SEV comprendeva) nei locali del personale delle FFS dovesse valere anche per il foglio fascista «Nationale Front», perché questa organizzazione era sovversiva quanto quella comunista. Le FFS e il Consiglio federale preferirono chiudere gli occhi sull’atteggiamento autoritario e di destra dell’organizzazione. Dal 1937 Bratschi richiese più volte alle FFS l’allontanamento del loro medico di fiducia a Sciaffusa, un nazionalsocialista attivo politicamente, per le lamentele dei membri. Egli rimase in carica fino all’inizio del 1946 e il SEV sostenne i ferrovieri fuggiti all’estero ed ebbe contatti con la resistenza.

Il SEV sotto pressione

A partire dal 1939 la pressione si fece sentire anche dal fronte del «Bund der Subventionslosen» (Lega dei non sussidiati), che voleva riprivatizzare l’azienda statale e che lanciò il referendum contro la legge federale che intendeva ridimensionare la riduzione salariale del 1936 per il personale della Confederazione e risanare la cassa pensione delle FFS. La campagna denigratoria contro gli «impiegati statali privilegiati» e contro i costi di risanamento di presunti un miliardo di franchi portò a una sonora bocciatura della legge (62,2%) nella votazione del dicembre 1939.

Robert Bratschi (1891-1981), segretario generale SEV dal 1920 al 1945, presidente SEV dal 1946 al 1953: ««Nulla offende e insulta il personale tanto quanto attribuirgli una posizione esclusiva e il perseguimento di interessi particolari attraverso una malevola distorsione della verità.» In: «Mein Dienst – mein Stolz», 1941/42.
Per il SEV fu uno shock. Decise quindi che l’opinione della popolazione nei confronti dei ferrovieri andava migliorata. In seguito il SEV continuò a dare rilievo alla piena disponibilità dei ferrovieri a impegnarsi a favore del paese e della popolazione e non si oppose alla decisione che da aprile 1940 imponeva ai ferrovieri soggetti all’obbligo, di prestare servizio militare di due mesi, nonostante l’acuta carenza di personale presso le FFS a causa dell’aumento del traffico.

In generale il SEV si tratteneva politicamente per non offrire pretesti di attacco alle cerchie di destra, che volevano limitare o addirittura proibire i sindacati nel personale federale, e per non mettere a rischio i propri compiti principali. Opporsi al transito avrebbe isolato politicamente il SEV portandolo al conflitto con le FFS. Infatti nel 1939 le FFS erano in difficoltà finanziarie e i guadagni del transito erano un’importante boccata di ossigeno per ridurre il debito e ammortizzare gli investimenti, ad esempio l’elettrificazione. Il SEV non si oppose e prese le distanze dagli appelli dei comunisti al sabotaggio (a partire dall’attacco tedesco alla Russia nell’estate del 1941) e dalla Federazione internazionale dei lavoratori dei trasporti. Secondo Tscharland, praticamente non ci furono sabotaggi da parte di ferrovieri svizzeri, anche perché dovevano fare i conti con pene molto severe, in quanto sottostavano al diritto militare.

Concentrati sulla difesadel personale

Il SEV continuò a fare del suo meglio per i suoi membri. Già nel novembre 1939 chiese alle FFS più personale, per le troppe ore supplementari e i giorni di riposo negati, che valutò corrispondere a «3000 lavoratori formati». Le FFS tra il 1939 e il 1943 aumentarono il numero di lavoratori da circa 28 700 a oltre 33 000. Nel bilancio del 1945 il 72% delle spese operative erano costi di personale.

Il SEV si occupò anche dei salari, poiché la guerra aveva spinto verso l’alto il rincaro, e nel mese di dicembre 1940 ottenne gli assegni familiari e per i figli. Infine il SEV e l’Unione federativa riuscirono a limitare all’1,7% la perdita del salario reale durante la guerra per i collaboratori sposati con salari bassi. I redditi medi ed elevati subirono una riduzione più marcata, ad es. del 16,7% per 7000 franchi all’anno. A partire da marzo del 1942 il SEV riottenne ufficialmente la compensazione in tempo e denaro delle ore supplementari, cosa che tuttavia non venne attuata ovunque fino al 1944. A partire dal 1943 l’Unione federativa e le FFS avviarono un nuovo progetto di risanamento delle FFS che, a inizio 1945, venne accettato in votazione popolare in seguito a referendum.

Markus Fischer

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Sotto il tiro dell’aviazione

Il 9 settembre 1944, il socio della LPV Georg Gabriel (56 anni) viaggia a bordo di un treno merci da Rafz (a nord del Reno) verso Sciaffusa. Alle 12.40, poco prima della frontiera, il convoglio finisce sotto il fuoco dell’aviazione alleata. Mentre aziona la frenatura rapida, Gabriel sente un dolore lancinante ad un ginocchio e ad una gamba. È stato colpito! Le ferite sanguinano copiosamente. Gabriel si getta a terra e si fascia con un fazzoletto. Dopo un secondo attacco, striscia sotto la motrice. Quattro cacciabombardieri americani effettuano cinque incursioni in venti minuti. Quaranta minuti dopo, alcuni samaritani provenienti da Rafz raggiungono Gabriel, che ha tre schegge conficcate nelle gambe e una in una mano, e lo trasportano all’ospedale di Bülach con un carro a cavalli – insieme al capotreno Hermann Frey, colpito a un piede, e a un doganiere tedesco, che perderà una gamba.