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Le scarpe che calziamo sono prodotte in condizioni scandalose. La denuncia di Public Eye

Diritti calpestati ad ogni passo

Acquistare scarpe eticamente impeccabili è un’impresa titanica. Per questo, Public Eye ha lanciato negli scorsi giorni Shoe Creator, un’applicazione che vi permette di creare online le scarpe che avete sempre sognato, nel rispetto dei diritti umani. L’applicazione mostra inoltre le condizioni di lavoro scandalose in cui vengono prodotte le nostre scarpe e descrive la triste realtà delle fabbriche. In Cina ed in Albania come in diversi altri paesi: salari da fame, orari disumani e rischi per la salute fanno parte della vita quotidiana di milioni di operai ed operaie. In questo settore torbido, le aziende sono responsabili delle conseguenze disastrose di un modello d’affari secondo il quale le calzature non sono più che beni di consumo usa e getta, e a pagarne il costo sono il pianeta ed i lavoratori e lavoratrici.

Nel 2015 oltre 23 miliardi di paio di scarpe sono state confezionate ai quattro angoli della terra, ossia più di tre paia per persona. Gli svizzeri comprano, in media, un paio di scarpe nuove ogni due mesi e le calzature non vengono quasi mai riparate. Si preferisce gettare le scarpe usate (anche se in uno stato, tutto sommato, buono), per acquistarne di nuove e spesso a prezzo stracciato. Queste abitudini hanno pesanti conseguenze a livello sociale ed ecologico.

La «moda effimera», ormai, ci veste dalla testa ai piedi. La maggior parte dei consumatori non conosce però le condizioni scandalose in cui, dall’Asia all’Europa, le loro scarpe vengono prodotte. In fabbriche e concerie, milioni di impiegati ed impiegate svolgono un lavoro ingrato, senza le protezioni necessarie ed in costante contatto con prodotti chimici tossici. È evidente: che siano «Made in China» o «Made in Italy», qualunque sia il loro prezzo, le scarpe che indossiamo vengono prodotte in condizioni inaccettabili. I salari da fame sono la regola ovunque. Del resto in quasi tutti i paesi produttori, l’industria della scarpa è uno dei settori dove il salario minimo è il più basso. Public Eye lo dimostra grazie a diverse inchieste.

In Albania 150 franchi al mese per produrre scarpe

Siamo andati a parlare con le vittime di questo ciclo di produzione efficiente ma ingiusto. In Albania, un’operaia guadagna 150 franchi al mese per produrre scarpe. Si tratta di nemmeno un quarto di quanto le servirebbe per provvedere alle necessità di base e a vivere dignitosamente. A denunciare queste pessime condizioni di lavoro è anche il video «Lavorare per Geox nel 21° secolo – Il caso serbo», pubblicato dalla sezione italiana della Campagna Clean Clothes. Intimidazioni, umiliazioni, straordinari eccessivi e violazioni del diritto del lavoro: una giornata come tante altre per gli impiegati della fabbrica serba della famosa marca Geox.

Gravi rischi per la salute

C’è poi il grande capitolo dei rischi sanitari. Nelle industrie dove si lavora il cuoio e dove vengono prodotte le scarpe, il personale è costantemente sottoposto a prodotti chimici pericolosi. Le colle e i prodotti di pulizia possono provocare gravi intossicazioni, problemi respiratori e asma. Il pesante carico di lavoro, la manipolazione di grossi macchinari e il lavoro ripetitivo, aumentano i rischi di incidenti. Come se non bastasse, gli operai e le operaie non vengono informati e formati sui pericoli che corrono. Molti lavoratori spiegano che spesso rinunciano a portare i guanti per essere più veloci e poter raggiungere così gli obiettivi di produzione imposti.

Maggiore consapevolezza con una app

Attraverso lo «Shoe Creator», che dà agli internauti la possibilità di creare le scarpe che vorrebbero grazie a quattro modelli e svariati accessori, Public Eye intende così denunciare quest’industria che calpesta i diritti dei lavoratori ed al contempo sensibilizzare i giovani. Una volta terminato il concorso, il design vincente verrà prodotto su misura per il suo autore. Agire nel quotidiano è alla portata di tutti noi. Possiamo prenderci maggior cura delle nostre scarpe, farle riparare quando necessario e fare domande quanto alla loro origine, affinché i venditori capiscano una volta per tutte che la sostenibilità è un criterio importante che non possono più ignorare.

Public Eye

Aspettando l’avvento di scarpe etiche, Public Eye organizza sabato 6maggio una manifestazione a Berna. Tutte le partecipanti e tutti i partecipanti formeranno una lunga coda di attesa per ricevere finalmente scarpe etiche. In questo modo l’organizzazione umanitaria Public Eye intende attirare l’attenzione sulle orribili condizioni di lavoro di donne e uomini. Una lunga coda non porterà purtroppo da nessuna parte, poiché la maggioranza dei commercianti di scarpe non si preoccupa o si preoccupa poco di giustizia ed equità nella loro produzione. Affinché l’azione di denuncia abbia un forte impatto, occorrerà essere in tanti.

Appuntamento sabato 6 maggio a Berna:

  • 13.30: ritrovo al Kornhausplatz (10 minuti a piedi dalla stazione)
  • 14.00–15.00: azione «Per scarpe etiche – l’infinita coda di attesa»
  • 15.00: aperitivo conviviale