Quali conseguenze può avere la svolta a destra del Parlamento per i lavoratori? L’analisi di Paul Rechsteiner

«Le politiche di austerità sono una grande sfida»

Al secondo turno di voto in un canton San Gallo dominato dallo schieramento borghese, Paul Rechsteiner è riuscito a confermare il suo seggio agli Stati con il 58,3% per voti, a spese dello sfidante UDC. La portata sorprendente di questo risultato è stata resa possibile dall’elevata credibilità acquisita quale rappresentante di lavoratrici e lavoratori, legale socialmente impegnato e politico navigato. Abbiamo discusso con lui della svolta a destra del Parlamento.

contatto.sev: Quali conseguenze possiamo attenderci sulle questioni rilevanti per lavoratrici e lavoratori dalla svolta a destra del Consiglio nazionale?

Paul Rechsteiner: La nuova maggioranza nella Camera del popolo non è certo una buona premessa, anche se abbiamo un certo contrappeso agli Stati, che sarà ancora più importante rispetto all’ultimo quadriennio, anche per altre decisioni di principio, come quelle sui diritti dell’uomo.

Con questo risultato, è ancora lecito sperare che l’esame del progetto di riforma «Previdenza 2020» possa trovare una maggioranza al Nazionale in favore del modesto aumento delle rendite?

Dal punto di vista partitico, questa questione non ha molte speranze. Ma da questo punto di vista, nemmeno agli Stati le premesse erano migliori. Alla fine, però, la destra dovrà chiedersi se vuole un progetto che abbia una pur minima possibilità davanti al popolo. Negli ultimi anni, i sindacati hanno saputo respingere con i referendum ogni tentativo di peggiorare le rendite. Chi vuole ottenere ragione, deve considerare le rendite della popolazione. Da questo punto di vista, la proposta del Consiglio degli Stati costituisce una condizione minima per giungere a buon fine.

Ma anche chi è rappresentato dalla destra, come pure le PMI, beneficerebbero di un aumento delle rendite AVS.

Chi sa far di conto, può constatare rapidamente che le soluzioni di previdenza offerte dall’AVS ai redditi bassi e medi, sino ai 200000 franchi, risultano più convenienti di un versamento al secondo pilastro. Quest’ultima istituzione costa sempre di più e le sue prestazioni non fanno che calare. Compensare queste diminuzioni tramite l’AVS risulta più efficiente e rapido, rispetto alla cassa pensioni che deve essere alimentata per 40 anni e oltre prima di poter disporre di una rendita. Chi sa far di conto non può quindi non essere d’accordo sul miglioramento delle rendite AVS, come proposto dal Consiglio degli Stati.

Se il Parlamento dovesse respingere l’aumento delle rendite AVS, al popolo rimarrebbe la possibilità di sostenere l’iniziativa «AVSplus» lanciata dai sindacati. Ma è realistico pensare ad una maggioranza che vota un aumento delle rendite del 10%?

La rielezione di Paul Rechsteiner al Consiglio degli Stati contribuisce a riequilibrare in parte il dominio della destra nel Consiglio nazionale.

10% di una rendita semplice AVS corrisponde in media a 200 franchi, una rendita per coniugi a 350. Non sono cifre folli, paragonate alla diminuzione delle rendite di cassa pensioni. Il rapporto costibenefici di questo aumento è molto positivo, dato che costerebbe solo lo 0,4% dello stipendio a datori di lavoro e lavoratori. Dobbiamo anche considerare che le trattenute complessive per l’AVS corrispondono all’8,4% e non sono più aumentate dal 1975. Nello stesso lasso di tempo, le casse pensioni sono aumentate massicciamente e hanno superato il 18 percento. «AVSplus» ha anche il vantaggio di riconoscere un aumento agli attuali beneficiari che da anni non hanno più avuto un rincaro delle loro rendite. L’aumento proposto dal Consiglio degli Stati andrebbe invece a beneficio unicamente dei futuri pensionati.

Lavoratrici e lavoratori vorrebbero anche una maggior protezione dei loro stipendi e delle loro condizioni di lavoro, messe sotto pressione dalla libera circolazione delle persone e dalla concorrenza globalizzata. La destra parla di limitare la libera circolazione con l’UE. Potrebbe essere una soluzione valida?

Non è in ogni modo semplice da attuare, dato che la Svizzera, ubicata al centro dell’Europa, ha un’economia strettamente collegata a quella dell’UE, addirittura in misura maggiore di alcuni stati membri. La nostra economia e i nostri posti di lavoro dipendono direttamente dalla qualità dei rapporti con l’UE. Gli accordi bilaterali hanno rafforzato la nostra posizione e sono senza dubbio un successo. Dobbiamo però dimostrare maggior rigore nella protezione degli stipendi e delle condizioni di lavoro, dando risposte adeguate, per esempio, alla problematica dei dipendenti più anziani, proteggendoli dagli abusi. Ma non possiamo mettere le persone le une contro le altre, suddividendole in base al colore del passaporto, come propone la destra. In passato, queste situazioni hanno portato solo a peggiorare le condizioni di impiego. Basti pensare allo statuto dello stagionale, che nei settori che vi hanno fatto capo, come la ristorazione o l’edilizia, ha favorito una politica di bassi salari. Da quando invece in questi settori vi sono contratti collettivi di lavoro che non fanno differenze tra i colori dei passaporti, abbiamo avuto cospicui aumenti di salario. Dobbiamo proteggere salari, condizioni di impiego e, quindi, anche i posti di lavoro, anziché mettere le persone le une contro le altre. L’economia svizzera ha sempre beneficiato dell’immigrazione, mentre l’emigrazione è sinonimo di un cattivo andamento, che noi certo non vogliamo.

Anche nel Consiglio federale abbiamo adesso una maggioranza di centro-destra. Pensi che ciò precluderà ogni miglioramento per i prossimi quattro anni?

La priorità per i sindacati nei prossimi quattro anni sarà certo di evitare peggioramenti, poiché per chi considera la protezione dei lavoratori come il fumo negli occhi ha già annunciato peggioramenti, per esempio nella legge sul lavoro. Abbiamo però già avuto una fase simile, dal 2003 al 2007, con Blocher e Merz in Consiglio federale, ma anche loro hanno dimostrato dei limiti. Noi sindacati saremo certo chiamati a confermare la nostra capacità di referendum già dimostrata in passato, ma anche a continuare nella lotta per miglioramenti puntuali, laddove possibile. Continueremo pertanto a batterci per la protezione dei salari nell’ambito della via bilaterale se, come spero, la Svizzera continuerà a seguirla.

Negli ultimi anni, noi sindacati abbiamo tentato di promuovere miglioramenti anche tramite iniziative popolari, che sono però state respinte. Vedi altre possibilità?

In effetti, per esempio, l’iniziativa sui salari minimi alle urne è stata un fiasco, ma la campagna per migliorare i salari è un vero successo e sta aumentando gli stipendi dei settori più deboli grazie all’introduzione di contratti collettivi. Dobbiamo tener conto anche di questo, ma è vero che le iniziative devono essere ben ponderate. L’attuale constellazione a palazzo ci obbligherà probabilmente a ricorrere più spesso al referendum. Non è però così che si migliorano le cose, per cui non possiamo certo escludere di ricorrere anche a iniziative.

Ma vi sarebbero anche altri mezzi?

Uno di questi sono certo le campagne sindacali per migliorare i CCL e la loro copertura. L’esigenza di migliorare l’accesso al prepensionamento per le categorie sottoposte a sollecitazioni particolari è per esempio stata a lungo ignorata a palazzo. Con il nuovo CCL FFS, il SEV è riuscito a rilanciare la tematica in modo molto positivo.

Dovremmo però migliorare anche la parità salariale tra donna e uomo e la compatibilità tra vita professionale e famigliare. Vedi delle possibilità?

Al momento, non molte, anche se in passato tutt’a un tratto si sono presentate possibilità di migliorare la politica famigliare. Saremo però confrontati con una grande pressione non solo sul mondo del lavoro, ma anche sullo stato sociale. I sussidi sui premi di cassa malati, concepiti per ridare un po’ di socialità al sistema di premi unitari, sono stati rimessi in discussione in diversi cantoni. A ciò si aggiunge la politica di risparmio della Confederazione, che per noi costituisce una sfida a tutti i livelli, anche per quanto riguarda il servizio pubblico. Quest’ultimo è però molto apprezzato dalla popolazione, ciò che lo rende difficilmente attaccabile anche per la destra.

La Svizzera conta un grande sindacato dell’edilizia e dell’industria e numerosi sindacati piccoli e medi degli altri settori. Pensi che sia una struttura sostenibile anche in futuro?

È quanto i sindacati devono chiedersi regolarmente, partendo dal presupposto che le strutture non possano essere fine a se stesse, ma debbano essere funzionali ad una miglior organizzazione e all’ottenimento di migliori risultati per lavoratrici e lavoratori. A questo scopo, occorre anche la vicinanza ai membri. Fortunatamente, vi sono numerosi sindacati piccoli e medi che, nei loro settori, sono altrettanto forti del SEV nel trasporto pubblico. La sfida principale per i sindacati sono i settori in cui il grado di organizzazione e gli stipendi sono bassi.

La fusione tra FLMO e SEI ha liberato forze da investire nel settore terziario privato, nel quale vi erano importanti lacune e dove Unia negli ultimi undici anni ha registrato i maggiori successi. Ciò dimostra che i sindacati hanno anche possibilità di crescere, a patto di assumere nuove sfide. Il mondo sindacale, un tempo prettamente maschile, si è inoltre aperto anche alle donne e ai migranti che lavorano da noi. Vi sono quindi stati cambiamenti notevoli.

Nell’agosto 2017, a metà legislatura quindi, raggiungerai l’età di pensione. Cosa pensi di fare?

Non vi ho mai pensato, anche perché sono sempre ancora sull’onda dell’entusiasmo che mi ha riconfermato agli Stati, nonostante dal punto di vista delle forze partitiche non avessi alcuna possibilità. Abbiamo però svolto una campagna molto presente sulle strade e vicina alla base, perorando valori essenziali per il sindacato e i diritti dell’uomo. Valori che per me costituiscono un impegno da portare avanti nei prossimi anni, nonostante le difficili condizioni, per ottenere il massimo. Lottando, si può ottenere molto, come dimostra proprio l’esempio della mia elezione.

Markus Fischer

BIO

Paul Rechsteiner (63) è cresciuto a San Gallo in una famiglia di sei persone. Il papà era un lavoratore ausiliario e la mamma contribuiva a sbarcare il lunario svolgendo lavori di pulizia. Nel 1977 ha concluso gli studi di diritto e nel 1980 è diventato avvocato in proprio, specializzato in diritto penale, del lavoro e delle assicurazioni sociali. Sino da quegli anni ha assistito i membri SEV, in particolare dopo incidenti ed è tutt’oggi legale di fiducia del SEV. Dal 1977 al 1984 è stato consigliere comunale PS a San Gallo, è poi passato al gran Consiglio e, nel 1986, al Consiglio nazionale. Nel 2011 è quindi stato eletto al Consiglio degli Stati. Dal 1998 è presidente dell’USS. È sposato e abita a San Gallo.