La professoressa basilese Elisabeth Zemp Stutz si è specializzata sui temi di genere e della salute

«Regole chiaredi comportamento»

Elisabeth Zemp Stutz si occupa dei legami tra genere e salute, in particolare sul posto di lavoro. Sarà la relatrice principale della giornata di formazione della commissione donne del SEV.

Se partiamo da Adamo ed Eva: qual è la differenza tra uomo e donna?

Elisabeth Zemp Stutz: tra Adamo ed Eva la differenza è venuta dalla tentazione...

Vi è quindi una differenza di ruoli: la donna quale tentatrice?

In effetti, qui abbiamo la prima attribuzione ad un genere, dato che l’azione scatenante, l’allontanamento dal paradiso, viene attribuita ad Eva. Ma tornando alle differenze, dobbiamo rilevare come esse siano a più livelli: genetico, biologico, ma anche nella struttura fisica e nel modo di funzionare del corpo, per esempio nell’elaborazione di sostanze o a livello della secrezione di ormoni. Vi sono poi anche differenze socioculturali, nella percezione, nel comportamento e nella scelta della professione. Spesso questi livelli risultano così strettamente collegati da non poterli suddividere chiaramente.

I provvedimenti presi a livello politico non stanno riducendo la portata delle differenze tra uomo e donna?

I provvedimenti politici mirano a parificare i diritti tra uomini e donne. Nel settore della salute, le possibilità di «livellamento» sono più limitate, anche perché le gravidanze non possono essere ripartite equamente tra donne e uomini. Per contro, le possibilità di mantenersi in salute dovrebbero equivalersi e qui vi è senz’altro margine per provvedimenti di carattere politico.

Quali potrebbero essere le priorità?

La differenza più nota è quella dell’aspettativa di vita, che nell’ultimo secolo è aumentata da 50 a 80 anni, in modo comunque più marcato per le donne dei paesi occidentali. Negli anni Novanta, in Svizzera gli uomini vivevano in media sette anni meno delle donne. Nel 2012, questa differenza era diminuita a quattro anni, a seguito del miglioramento della situazione degli uomini, con un calo dei suicidi e dei decessi a seguito di malattie cardio-circolatorie o di tumori. Questi sono i campi che si prestano anche a comprimere le differenze nell’aspettativa di vita. In altri la questione è più complessa, per esempio per quanto tocca l’apparato riproduttivo: gravidanze indesiderate, problemi a seguito di mestruazioni, malattie tumorali di origine ginecologica condizionano l’esistenza delle donne sin dalla gioventù. Gli uomini sono toccati da problemi analoghi, per esempio dal cancro alla prostata, solo in età più avanzata.

E dal punto di vista di una politica generale della salute?

Molte di queste malattie dipendono dallo stile di vita e si sviluppano su periodi molto lunghi. Occorre quindi agire sui rischi e sulle misure di prevenzione con misure a lungo termine. Vi sono esempi classici in positivo, come avere uno stile di vita attivo e mangiare sano e in negativo come il fumo o il sovrappeso...

Ma in che modo occorre intervenire?

Bisogna integrare in modo mirato le singole situazioni di vita, risalendo alle cause profonde del disagio, che molto spesso sono diverse tra uomini e donne. Per esempio, per la prevenzione del fumo vi sono programmi per giovani donne che fanno leva sul fatto che il fumo nuoce alla pelle e sull’importanza dell’aspetto esteriore. La lega polmonare promuove invece un progetto di prevenzione del fumo rivolto a giovani maschi che stanno svolgendo un apprendistato, in cui viene veicolato il messaggio che gli abiti di «un vero uomo» non devono puzzare di fumo, ma odorare di testosterone (ammesso che si possa definire questo odore).

Ma vale veramente la pena fare tutti questi sforzi per prolungare l’aspettativa di vita?

Così lei dubita dello scopo di queste iniziative. Ma cosa teme?

Mi chiedo solo se in fondo non sia meglio morire improvvisamente d’infarto, piuttosto che soffrire di cancro per una ventina d’anni.

Quello di una «bella fine» è un mito molto diffuso. In realtà, però, succede molto più spesso che le persone soffrano di debolezza cardiaca per anni. Quando ci chiediamo se vale veramente la pena di vivere più a lungo, dobbiamo anche considerare che negli ultimi 50 anni non abbiamo solo prolungato la nostra vita, ma anche guadagnato numerosi anni con una salute relativamente buona. Il periodo in cui si soffre per una malattia è stato nettamente ridotto ad una porzione molto modesta della nostra vita. Gli sforzi di prevenzione non aggiungono quindi solo anni di vita, ma anche una buona parte di qualità della vita stessa.

Parliamo del mondo del lavoro. Il trasporto pubblico è un mondo piuttosto maschile. Si impongono quindi provvedimenti particolari verso le donne?

Vi sono senz’altro delle tutele che devono essere osservate nei casi in cui donne intraprendono professioni tipicamente maschili, in particolare per quanto riguarda la capacità di procreare, ma anche più in generale riguardo il carico fisico. Vi sono poi alcuni aspetti da tener presente nella realtà giornaliera, nella struttura del lavoro e nei rapporti interpersonali. Esperienze raccolte presso gli istituti di cura delle dipendenze dimostrano che le esigenze delle donne non vengono rispettate in modo sufficiente se la loro quota risulta inferiore al 20–30 percento. Occorrono quindi regole chiare di comportamento.

Un tipico esempio del nostro settore è la professione di macchinista, che un tempo era fisicamente molto pesante. Oggi non lo è più, ma le donne che la praticano sono comunque poche.

L’onere fisico non dovrebbe effettivamente più costituire un deterrente per le donne. Oggi si richiedono altre caratteristiche, che le donne sono senz’altro in grado di fornire. Si tratta quindi di ammettere che la guida di locomotive potrebbe essere una professione adatta alle donne, riprendendo questa evoluzione anche nelle presentazioni della professione e nelle inserzioni.

Lei ha richiamato a più riprese l’effetto diverso di medicine su uomini e donne. Immagino quindi che anche la tutela della salute sullo stesso posto di lavoro debba essere diversa per un uomo o una donna.

Attraverso una medicina, si assumono sostanze che dovrebbero generare un effetto. Questo processo può essere diverso tra uomini e donne. Sul posto di lavoro è diverso: si tratta di proteggere in egual misure donne e uomini da sostanze o da influssi dannosi. È importante anche stabilire se le donne necessitano di una protezione particolare, poiché incinta, o per difendere la sua fertilità. Ambiti che richiedono riguardi particolari.

Il suo campo d’attività è la protezione della salute. A chi giova in particolare? Alle singole persone, alla collettività o all’economia?

Idealmente a tutti.

E in realtà?

(Esita) Noi lavoriamo nella salute pubblica, nel «Public Health», tentando in intervenire tramite programmi, leggi e condizioni quadro. Da questo punto di vista, ci rivolgiamo più alla popolazione nel suo insieme, che alla singola persona. Ad approfittarne è quindi la società. Sappiamo anche che le ricche nazioni del nord investono molto di più nei sistemi per la salute di quelle del sud, con conseguenze drammatiche per le singole persone, per esempio con una quota molto maggiore di decessi dovuti alla maternità.

Lei ha un campo di attività estremamente vasto, che va dall’allattamento dei primi mesi alla cura delle malattie cardiovascolari. Quale settore predilige?

Il mio interesse principale è capire il nesso tra il genere della persona e la salute, che può essere studiato in tutte le fasce d’età e in diversi settori della salute.

E dove si deve intervenire con maggior urgenza?

Intende in Svizzera?

No, in genere. Lei ha svolto studi sull’allattamento nelle nazioni del sud. Penso che da noi vi siano condizioni diverse...

Conciliare allattamento e lavoro è però un tema molto attuale anche da noi. Oggi abbiamo un maggior numero di donne attive professionalmente, con un grado d’impiego maggiore e che riprendono il lavoro molto prima dopo un parto. Il congedo di maternità retribuito è di 14 settimane. Le donne non possono essere impiegate senza il loro consenso prima di 16 settimane dopo il parto, ma molte di loro a quel momento stanno ancora allattando. Il periodo medio di allattamento in Svizzera nel 2014 era di 31 settimane e la società svizzera di pedagogia raccomanda un allattamento esclusivo per 4– 6 mesi. Le donne devono essere informate del loro diritto ad allattare sul posto e durante il tempo di lavoro, ma solo il 10 percento di loro ha indicato di esserlo stata dal proprio datore di lavoro e solo un terzo aveva a disposizione un locale appartato per poter allattare in tranquillità.

Lei sarà la relatrice principale alla giornata di formazione delle donne SEV. Quale sarà il suo messaggio principale?

In primo luogo, vorrei incoraggiare le donne, in modo che si sentano in grado di lavorare in settori dove sono in minoranza e che in questi devono impegnarsi, magari anche organizzandosi, per ottenere adeguamenti e migliorie. Temi centrali sono poi quelli legati alla salute nelle fasce medie della vita, in particolare legati alla prevenzione di disturbi cardiocircolatori e di malattie tumorali, nonché fare in modo che i loro effetti non vadano poi persi negli anni successivi.

Peter Moor

Bio: La persona: 60 anni, sposata, una figlia, trascorre volentieri il proprio tempo libero all’aria aperta, leggendo, visitando esposizioni o ascoltando musica.

Carriera: studi di medicina, laurea in prevenzione e tutela della salute, un anno di specializzazione a Boston, cattedra alla facoltà di medicina di Basilea. Dopo la tesi si occupa in particolare delle problematiche legate a genere e salute. Dal 2009 lavora all’istituto tropicale e di salute pubblica di Basilea ed è a capo del gruppo di lavoro genere e salute.