Analisi alla vigilia di un anno elettorale

I sindacati? Forze molto importanti

Il prossimo 18 ottobre vi saranno le elezioni del Consiglio nazionale e del Consiglio degli Stati. Il loro esito ha inevitabilmente conseguenze anche sui posti di lavoro nel servizio pubblico. Abbiamo quindi tentato di inquadrare questo evento con un analista politico di spicco.

Mark Balsiger

Mark Balsiger, l’autunno prossimo vi saranno le elezioni federali. Per un consulente politico come lei si prospetta un anno particolarmente intenso.

Sarà indubbiamente un anno interessante, ma anche molto stressante, in quanto vorrei essere in grado di riconoscere tutte le diverse implicazioni, derivanti dal fatto che oltre ai partiti e ai 3000 e passa candidati, dietro le quinte agiranno anche altri attori e forze.

Lei analizza anche i media. Quali sono le tendenze attuali e come condizioneranno l’esito delle elezioni?

In Svizzera, si vive ormai una situazione di campagna elettorale permanente, che costituisce una sfida importante per tutti gli attori, media compresi. Vi è anche una tendenza ad investire maggiori mezzi nella lotta, almeno da parte di chi se lo può permettere e, nel contempo, assistiamo ad un calo della capacità dei media di inquadrare correttamente quanto avviene sul palcoscenico della politica. Ci si concentra su singoli episodi e i partiti ne approfittano, creando pseudo eventi, lanciando provocazioni e così via.

Si tratta di un’evoluzione molto poco svizzera.

In vista delle ultime elezioni, il SEV aveva pubblicato un ranking, una graduatoria delle e dei Parlamentari catalogati in base alla loro vicinanza alle nostre posizioni. Pensa che questi rankings possano essere utili?

Personalmente, condanno questo feticismo da ranking, poiché quasi tutte queste inchieste sono viziate da imprecisioni ed errori e molta gente li utilizza per evitare di confrontarsi con temi e persone. Non mi piace che si decida chi votare con questi metodi.

Nel 2011 abbiamo però avuto 365 liste con 3458 candidati. Al di là dell’opportunità di questi rankings, non è eccessivo chiedere agli elettori di confrontarsi con tutto ciò?

Nei cantoni più grossi con molte liste e molti candidati, in effetti, si avverte un certo sovraccarico. Molti però si limitano a mettere a disposizione il proprio nome, senza fare niente altro. Sembra quasi che vi sia un dovere di candidatura. Per i funzionari di partito è frustrante avere candidati simili in lista, che non partecipano alle attività, non parlano con la gente per strada, non scrivono ai propri amici. È un’evoluzione sbagliata. E non è nemmeno dimostrato, nonostante quanto pensino le maggioranze nei vari partiti, che un maggior numero di candidati porti un maggior numero di voti.

Senza necessariamente recitarci a memoria il suo ultimo libro, ci potrebbe dire secondo lei quali sono gli elementi chiave di una campagna elettorale di successo?

Per una singola persona vi sono 26 criteri di successo. È un modello che ho sviluppato dieci anni fa all’università di Berna e che adesso vi viene insegnato. Per me, è un motivo di orgoglio. Questo modello non è nemmeno mai stato messo in discussione. Tra questi 26 criteri vi sono per esempio la candidatura per un partito affermato, il grado di popolarità, il bagaglio politico e la rete di relazioni. In genere, vengono eletti candidati e candidate che riescono a soddisfare da 18 a 20 di questi criteri.

Ma serve davvero orientarsi a questi criteri? Non è più facile essere eletti se si è una giovane donna o un uomo anziano e se si è nel partito giusto?

È chiaro che una carriera può essere facilitata anche da altri fattori, come ritrovarsi in un partito in crescita, oppure che sta attraversando una fase dinamica, con persone di peso che rinunciano ad un nuovo mandato. È anche dimostrato che le giovani donne tendono ad avere una carriera più rapida. L’aspetto ha senz’altro una sua importanza.

Come valuta l’influsso dei sindacati? Un o una sindacalista ha maggiori possibilità di essere eletto/a?

I sindacati continuano ad essere una componente molto attiva e molto potente dell’arena politica. Chi ne fa parte e può disporre di questa importante ed affidabile rete di relazioni ha senza dubbio buone possibilità di fare carriera. D’altra parte, si ritrova però anche in un rapporto di dipendenza, come avviene per diverse associazioni. Chi riceve questo genere di sostegno, avverte un obbligo morale nei confronti del proprio sostenitore.

Conoscendo così bene, o almeno sostenendo di conoscerli, i meccanismi che regolano le campagne elettorali, perché non si presenta lei stesso come candidato?

(Ride) Temo proprio che non sarei un buon politico, anche se non escludo totalmente questa possibilità, che vedrei però piuttosto a livello comunale, possibilmente in un comune che abbia una certa cultura politica, che privilegi il dialogo corretto e dove l’impegno possa essere svolto con un investimento di tempo accettabile. Tale non è il caso, per esempio, della città di Berna, dove un mandato nel Parlamento cittadino costituisce già un impegno del 40 percento, del tutto fuori portata per me.

Anche se mancano ancora dieci mesi circa alle prossime elezioni, se la sente di farci un pronostico? Rimarrà tutto com’è o assisteremo a spostamenti importanti dei rapporti di forza?

A oggi devo dire che non credo che ci saranno sconvolgimenti, nonostante in Svizzera vengano considerati tali già cambiamenti dell’ordine di tre punti percentuali. Penso comunque che il dibattito estremamente aspro e conflittuale sul futuro della Svizzera in Europa dovrebbe far avanzare i due partiti polo attuali, ossia l’UDC e il PS. Il centro, PLR compreso, potrebbe sfilacciarsi ancora di più, anche perché conta due nuovi concorrenti, con il partito borghese democratico e i Verdi liberali. Questi ultimi potrebbero avanzare in termini percentuali, ma perdere alcuni seggi, a causa delle anomalie del nostro sistema elettorale.

Ma a cosa è dovuta questa inerzia del nostro sistema politico?

Perché parla di inerzia?

Proprio perché è rarissimo che vi siano cambiamenti marcati.

Se si considera l’evoluzione di alcuni argomenti politici su di un arco di tempo abbastanza lungo, possiamo constatare che in Svizzera essa è stata più veloce di molti altri paesi europei. Ciò deriva essenzialmente dal fatto che tutti sono coinvolti abbastanza presto e possono dare il loro contributo a plasmare una decisione, intervenendo con la pialla e la carta vetrata. Volendo criticare, possiamo affermare che ciò porta poi a progetti di legge piuttosto piatti, di cui quasi tutti gli attori sono mediamente insoddisfatti, ma che, ciononostante, costituiscono comunque un passo avanti. Nella maggior parte delle altre nazioni europee, assistiamo ogni otto, dodici anni ad un cambiamento di governo, al quale fa seguito la revoca di buona parte dei maggiori cambiamenti introdotti dal governo uscente. Questi tre passi avanti e tre indietro fanno si che alla fine ci si ritrovi allo stesso punto. In Svizzera, come detto, le cose funzionano in modo diverso ed io sono un paladino di questo modello. Quando l’ho spiegato al mio professore di politologia a Cardiff, in Galles, ho visto che appariva sempre più smarrito, tanto poi da chiedermi in modo incredulo: «Does it work, funziona?» Ovvio che funziona, persino molto meglio di quanto i numerosi critici, che si accaniscono con cinismo sui dettagli, si ostinino a voler far credere.

Alcuni anni fa, un giornalista svedese mi ha chiesto perché in Svizzera si va comunque ancora a votare, dato che non cambia nulla. Lei come risponderebbe? E lei, partecipa attivamente alle elezioni e alle votazioni?

Io partecipo sempre, perché lo ritengo un privilegio particolare. Penso che sarebbe veramente un pessimo segnale se rinunciassi a partecipare alla vita di questo paese, anche se a volte appare cupo e altre sfiduciato. Non sono poi così d’accordo nella valutazione che non cambi nulla. Del resto, io voto spesso in modo trasversale alle varie forze politiche in campo e lo faccio in modo trasparente, sostenendo persone che, in base ai contatti personali avuti, reputo sagge e disposte al compromesso.
 
Peter Anliker

Mark Balsiger (47) ha studiato giornalismo, politologia e storia e ha conseguito un diploma alla scuola svizzera di giornalismo di Lucerna. Per dodici anni, è stato redattore in diversi media, da ultimo la radio DRS e poi portavoce del dipartimento federale della difesa DDPS. Nel 2002, ha fondato l’agenzia di consulenza politica e ai media «Border Crossing». È attivo anche come docente e esperto d’esame ed è membro del consiglio del pubblico della SSR.

Ha scritto tre manuali sulle modalità di condurre una campagna elettorale in Svizzera, ricchi di consigli su come muoversi a livello comunale, cantonale e federale. I primi due: «Wahlkampf in der Schweiz» (2007) e «Wahlkampf – aber richtig» (2011) sono esauriti. Il terzo, «Wahlkampf statt Blindflug» - (una campagna elettorale non è un volo alla cieca) è appena stato pubblicato dalle edizioni Stämpfli.