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Grande successo della Marcia mondiale delle donne - Lanciato un appello di solidarietà con le donne del mondo intero

Sì, vogliamo una bella vita

Eravamo 8 mila a camminare in una giornata di sole a Berna. Eravamo 8 mila donne accompagnate anche da compagni che condividono e sostengono la lotta per diritti delle donne. “Dateci una bella vita”! Con questo slogan la Marcia mondiale ha riportato al centro dell’agenda politica il tema della parità tra i generi.

Manifestazione delle donne sulla Piazza federale

Sabato 13 marzo, ore 13. La Schützenmatte, luogo di ritrovo della terza Marcia mondiale delle donne, comincia a colorarsi di tinte forti, decise. Qualche palloncino viola del SEV - le tonalità del viola sono quelle della marcia mondiale - si libera nell'aria, verso un cielo azzurro senza nuvole. Il presidente Giorgio Tuti si mescola fra le persone che si preparano a formare il corteo. Un corteo allegro, dove la fantasia e la creatività delle donne si mescolano alle chiare ed esplicite rivendicazioni. Sì, perché i diritti delle donne sono ben lungi dall'essere rispettati. E in alcune realtà sono addirittura calpestati e negati quotidianamente.

In testa al corteo le donne gridano «Solidarietà con le donne del mondo intero». Un appello giustissimo, poiché se a Berna ottomila persone hanno potuto marciare unite, in altri paesi del mondo le donne sono ridotte al silenzio. A nome della Marcia mondiale, Marianne Ebel ha sottolineato che «marciamo nelle strade di Berna contro la povertà, contro la violenza nei confronti delle donne. Marciamo per dire che la vita non è fatta per soffrire, non è fatta per subire violenza e povertà. La vita è corta. Per questo vogliamo che tutte le donne, indipendentemente dalla loro origine, che siano immigrate o no, giovani e meno giovani, possano vivere la vita pienamente. Siamo molto lontane da questo obiettivo». Un messaggio di solidarietà universale con le donne è stato espresso dallo striscione del Gruppo donne dell'USS Ticino e Moesa che hanno preso in prestito le parole di Virginia Woolf: «Come donna non ho patria, come donna la mia patria è il mondo intero».

Per chi veniamo prese?

Rivolgendosi agli uomini solidali Marianne Ebel ha poi aggiunto: «Siamo qui per mostrare la nostra determinazione a camminare insieme e per tutto il tempo che ci vorrà per essere libere e vivere in pace. Per vivere in una società dove giustizia e uguaglianza siano una realtà». Al grido «Dateci una bella vita!», Piazza federale si è riempita fino all'inverosimile e nella gioia. Ma che cosa significa una bella vita? Significa sentirsi sicure a casa e negli spazi pubblici, avere uno stipendio equo per un lavoro equo, poter godere di reali pari opportunità nel mondo del lavoro, in politica e nelle istituzioni. Quattordici anni dopo la Legge sulla parità (entrata in vigore il primo luglio 1996), siamo ancora ben lontani dalla parità di fatto. Una constatazione che le associazioni e i sindacati, hanno messo in evidenza lanciando nel contempo una nuova offensiva affinché la parità torni ad essere al centro dell'agenda politica. Perché le donne non vogliono pagare per questa crisi. «Per chi veniamo prese? Non ammetteremo che l'età dell'AVS sia alzata con il pretesto della parità», ha affermato davanti a Palazzo federale Ursula Mattmann, presidente delle donne di Unia. Altre oratrici hanno denunciato le persistenti discriminazioni sul fronte della parità salariale.

Alcuni striscioni hanno riproposto lo slogan «Vogliamo il pane e le rose». Lo chiedevano già nel 1912 le operaie del Massachusetts in sciopero, rivendicando così un diritto al necessario che esige anche altro: dignità, rispetto, amore, libertà, poesia. Viviamo in un periodo di palese restaurazione culturale: in nome di un presunto ordine naturale si vagheggia il ritorno delle donne ai fornelli, il corpo delle donne è tornato ad essere un oggetto e le donne che scelgono vie alternative di emancipazione vengono colpevolizzate. Ogni passo verso l'emancipazione, anche se piccolo e faticoso, è stato una grande conquista. Per questo non si può e non si deve tollerare il minimo passo indietro.

Françoise Gehring